Nell’ambito della Sesta Edizione del Festival della Fotografia di Roma, il palazzo dell’ex pastificio Cerere sembra un luogo d’esposizione assolutamente privilegiato; ospiterà, infatti, ben tre mostre.
Fino al 15 maggio quella di Ottavio Celestino “11 Storie. Pastificio Cerere andata e ritorno”: si tratta di ritratti di Giuseppe Gallo, Nunzio, Pizzi Cannella, Marco Tirelli, Bruno Ceccobelli e Gianni Dessì (artisti del cosiddetto Gruppo di S. Lorenzo) e di altri 5 artisti appartenenti alla vita artistica di Via degli Ausoni. Questi personaggi – ripresi con sapienti inquadrature mediante la più tradizionale tecnica professionale (in medio e grande formato su negativi in bianconero) e altrettanto tradizionalmente stampati con tecnica lith, su carta ai sali d’argento – li vediamo rappresentati durante lo svolgimento dei loro progetti sparsi per l’Italia e l’Europa, ed esposti in quello che è praticamente il cortile di casa loro.
Aperta fino alla stessa data, la seconda mostra, che si svolge nei locali della Fondazione, è la personale di Olimpia Ferrari, “METROCHIP_MICROCITY”. Al contrario dell’altro fotografo, Ferrari (attuale assistente di Giuseppe Gallo) si avvale di tutta la tecnica digitale a disposizione per creare gradevoli e coloratissimi pannelli fotografici, che vorrebbero evidenziare “lo stretto parallelismo tra l’assetto architettonico delle metropoli e la struttura sistematica dei microchip, quasi a dimostrare come la vita della popolazione urbana si svolga in ampi spazi dove si muovono i loro corpi, ma anche nei minuscoli e complessi meccanismi in cui a muoversi sono le idee, le comunicazioni, gli scambi culturali”. Interessante il concetto, espresso nei migliori termini decorativi, che tuttavia risultano a volte lievemente ridondanti.
Lo studio d’arte Pino Casagrande ospita, invece, la personale di un’ex assistente di Giuseppe Gallo, Ileana Florescu, dal titolo “Double Sens”, più complessa e interessante delle altre due, sulla quale si può dunque fare un discorso più articolato; quello che qui segue.
Parla di “doppi sensi” questa mostra ed è composta di due diversi momenti: il primo, classica esposizione fotografica, raccoglie una serie di 18 immagini dal titolo Curva, linea, superficie, che “ripropongono gli elementi strutturali del libro di Kandinskij “Punto, linea, superficie”; il secondo, installazione fotografica che dà il titolo a questa mostra doppia – “Double sens” appunto – propone 13 lightboxes dove quegli elementi geometrici fondamentali si fluidificano in più libere configurazioni.
In entrambi i casi, lo spunto reale è quello del viaggio “on the road”, che diventa “segno grafico” in un caso la linea gialla che divide le due corsie di marcia di una strada di campagna bagnata dalla pioggia; nell’altro le luci di una galleria e il movimento relativo delle macchine (l’automobile e la fotocamera).
I doppi sensi cos’altro sono se non degli slittamenti semantici? Per i quali la galleria stradale costruita dall’uomo per “agevolare il suo anelito verso il viaggio” e quell’altra galleria, che “è il luogo principe della cultura dell’arte”, hanno lo stesso nome e la stessa connotazione di scoperta di un “altrove“.
Ileana Florescu ha un sostrato di studi storici e filosofici, che la portano naturalmente ad esprimersi attraverso il linguaggio concettuale. Ma viene anche dalla pittura, e sembra attingere si – com’è stato detto – alla pittura elettronica, ma ancor prima (e più stranamente) a quella “segnica”, la quale tuttavia non prevede contenuti diversi da quelli della gestualità, o significati altri, oltre quelli automaticamente attribuibili in virtù della natura gestaltica della percezione visiva.
Per questo motivo, le sue immagini possono suscitare perplessità in un visitatore poco al corrente e può capitare che egli ammiri in queste nient’altro che il gioco delle forme ed il gioco delle strie luminose, così simili a quelle delle proprie foto scattate senza pensare, a sera, durante il rientro da una gita.
Un rischio sempre incombente negli incontri del fruitore ingenuo con l’arte contemporanea.
In realtà, in questa mostra come in altre, Florescu sembrerebbe svolgere una sua meditazione metafisica e al contempo una ricerca “critico-visiva” per la quale il soggetto fotografato è soltanto un mero pretesto, il significante, col quale esprimere il proprio concetto dell’arte e forse anche della vita.
Così afferma in un’intervista col curatore della mostra Angelo Capasso: “ Tutta la nostra vita è intrisa di sensi doppi, di entrate e di uscite, Yin e Yang. Dentro e fuori, sopra e sotto, destra e sinistra, Eros e Thanatos, nascita e morte… ma dico delle banalità”.
Che siano banalità, o meno, chi può dirlo? Vero è che la strada stessa, soggetto prediletto in questa mostra, ha sempre un “doppio senso“, anche quando non è percorribile.