Lo Specchio Incerto

Tra immagine e parola

Henri Cartier-Bresson


L’arte di Henri Cartier-Bresson

cofanetto dvd “Henri Cartier-Bresson: l’oeil d’un siècle”Henri Cartier-Bresson, l’uomo che ha trasformato il fotogiornalismo in arte, ha spesso dichiarato di non essere per nulla interessato alla fotografia. Non c’è paradosso: le sue origini artistiche sono nel disegno e nella pittura, che a partire dal 1966 sono tornati ad essere suo interesse predominante.

Tuttavia il vero motore primo della sua intera ricerca artistica, quale che sia la forma nella quale si è poi espressa, può essere identificato nella sua concezione umanistica della realtà, e non a caso è stato definito un classicista: lo è, non solo per la sua attenzione ai canoni della forma e agli equilibri geometrici dell’immagine, ma soprattutto per il suo costante indagare sui valori dell’esistenza, sull’essere umano e i suoi rapporti con il mondo.Il passaggio dalla pittura alla fotografia per Cartier-Bresson avviene intorno al 1930 in seguito ad un viaggio in Africa; lì acquista la sua prima macchina fotografica. Ebbe a raccontare: “l’avventuriero che è in me, mi obbligò a testimoniare con uno strumento più rapido le cicatrici di questo mondo”.
Nello stesso periodo si avvicina al cinema, realizza documentari, un ulteriore mezzo per “prendere in trappola la vita”, che però abbandona forse per via della sua scarsa partecipazione alla produzione, o piuttosto perché aveva già sviluppato la sua poetica del momento decisivo.
L’idea di Cartier-Bresson è che non si può imparare a fotografare, perché fotografare è un modo di vedere, ed è anche un modo di vivere.
La macchina fotografica non è che un mero mezzo col quale fissare la realtà; e del tutto realistiche pretendono di essere le sue immagini, scattate sempre con un obiettivo che restituisce un’immagine in tutto simile a quella vista dall’occhio (un 50 millimetri) e fedelmente riportate in stampa a pieno formato, senza escludere nulla di ciò che l’occhio ha visto nel mirino. La sua Leica diventa “un prolungamento dell’occhio” che può essere, a seconda delle occasioni, “un revolver, oppure il divano di uno psicanalista”.
Queste foto mostrano la realtà del momento decisivo di un avvenimento; colta dal fotografo, il quale riorganizza la propria percezione visiva nel rigore geometrico dell’immagine che più esplicitamente significa quell’avvenimento. E questo avviene con naturalezza, perché “l’apparecchio fotografico è lo strumento dell’intuizione e della spontaneità, …dimenticando se stessi si arriva alla semplicità d’espressione”.Una semplicità d’espressione che è purezza di linee ed estrema chiarezza della composizione, come nella ben nota immagine scattata a Siphnos in Grecia nel 1961, dove scorgiamo una bambina correre su per una via a gradinate attraverso un dedalo di casette bianche: il soggetto è collocato nel centro geometrico dell’immagine, e lì l’occhio sarebbe normalmente costretto dalla forza percettiva di questa posizione ad immobilizzarsi; ma la quinta della casa a destra, con l’importanza data alla sua porta (punto di partenza per l’occhio che guarda e per la fuga della piccola), ed il percorso a zigzag fatto di linee oblique e di piccoli volumi creati dal chiaroscuro delle ombre, fanno si che il nostro sguardo circoli sulla foto e che ci lasci immaginare che la bimba possa d’un tratto liberarsi dall’incantesimo che l’ha bloccata e fuggire via oltre il campo visibile.Non è che un esempio fra i tanti possibili, poiché ogni suo singolo scatto è misurato e allo stesso tempo pregnante: sintetizza un avvenimento mediante il momento culminante che ne implica l’intero sviluppo; lo fa quando ci racconta le miserie del mondo (fra i diseredati in India e le prostitute in Messico) o gli importanti rivolgimenti della Storia (il passaggio della Cina a Repubblica Popolare o le ultime ore di Gandhi), e lo fa anche quando coglie la valenza emblematica o talora ironica di un fatto qualunque.La fotografia è per Cartier-Bresson un punto di vista sul mondo, che coincide necessariamente con quello del suo occhio educato dal disegno a scorgere l’armonia delle forme o a ricrearla mediante piccoli aggiustamenti: “modifichiamo le prospettive con una leggera flessione delle gambe, produciamo coincidenze di linee con il semplice spostamento della testa di una frazione di millimetro… “; eppure tutto è già dato nella realtà, tanto che “la composizione deve essere la nostra costante preoccupazione, ma al momento di fotografare essa non può che essere intuitiva, poiché siamo alle prese con istanti fuggevoli dove i rapporti sono in movimento… Ogni analisi geometrica, ogni riduzione ad uno schema può essere prodotta solo quando la fotografia è già scattata, sviluppata, stampata e può servire soltanto come argomento di riflessione”.Cartier Bresson si è paragonato ad un pescatore che, avendo un pesce già all’amo, debba avvicinarsi con cautela per prenderlo al momento giusto, ma le sue dichiarazioni sul fotografare, richiamano all’immaginazione la pratica Zen del tiro con l’arco: “Fotografare è trattenere il respiro…” ed il fotografo, al pari di un arciere, deve dimenticare tutto, anche se stesso, per concentrarsi sull’obiettivo.
Senza preoccuparsi dell’accuratezza, lascia che questa sorga come risultato dell’imporsi intuitivo di una forma perfetta; lo scatto, così come il tiro con l’arco, scioglie una tensione spirituale e “cogliere un’immagine diventa una gioia fisica e intellettuale”.

Henri Cartier Bresson torna al disegno, che è meditazione, decidendo di “prendersi tempo” proprio quando la fotografia, spinta dalle innovazioni tecniche, sta diventando “troppo rapida”.

Rosa Maria Puglisi

già pubblicato su Cultframe, dove potrete trovare la biografia ed altri articoli che trattano di questo artista.

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