Lo Specchio Incerto

Tra immagine e parola

Claude Cahun


Dietro Cahun

copertina del libro “Don’t Kiss Me: The Art of Claude Cahun And Marcel Moore”
copertina di “Don’t Kiss Me: The Art of Claude Cahun And Marcel Moore”

“Maschile? Femminile? Ma dipende dai casi. Neutro è il solo genere che mi si addice sempre”.

Cahun nacque il 25 Ottobre del 1894 a Nantes. Fu artista dai molti talenti: scrittrice, fotografa e attrice; rimase tuttavia in ombra forse per il suo essere donna. O forse perché la sua arte, e la sua stessa persona, sfuggivano alle consuete categorie.

All’anagrafe era Lucy Renée Mathilde Schwob, figlia di Victorine Mary Antoinette Courbebaisse e di Maurice Schwob, noto giornalista e saggista, proprietario del giornale Le Phare de la Loire. Ma anche nipote di Marcel Schwob, co-fondatore del Mercure de France e troppo poco conosciuto scrittore, che tanta influenza avrebbe avuto sul simbolismo dei suoi primi anni.

Precoce autrice di saggi e scritti originali, si firmò dapprima Claude Courlis, poi per un certo periodo Daniel Douglas (pare in onore del perduto amore di Oscar Wilde), prima di assumere definitivamente il nome di Claude Cahun, che – scrisse – “rappresenta ai miei occhi il mio vero nome, piuttosto che uno pseudonimo”.
Claude Cahun: un nome “neutro”, appunto, a seconda dei casi maschile o femminile, accompagnato da un cognome tipicamente ebraico: quello della nonna paterna cui era stata affidata a soli quattro anni, perché sua madre era stata internata in una clinica psichiatrica.
Tutta l’opera di Cahun è fortemente autoreferenziale, gli scritti come le immagini fotografiche, quasi a rivendicare una totale autonomia rispetto alla società ed alla realtà stessa: non a caso si avvicinò al pensiero surrealista, del quale la interessarono sicuramente anche i risvolti psicoanalitici. Il nome stesso Claude Cahun, era scelto in funzione di una referenza, che rinviava ad un vissuto individuale fortemente connotato dall’indefinitezza sessuale nonché dalle origini familiari.
Il riferimento all’amata nonna ci riporta alla sua prima giovinezza, che fu – come la sua vita intera – segnata dal senso di un abbandono materno. A complicarle la vita allora si erano aggiunte, in una Francia divisa dall’Affare Dreyfus e diffusamente antisemita, aggressioni e insulti a causa delle sue origini ebraiche: prime stigmate di una “diversità”.
Ancor più inaccettabili agli occhi della società, sarebbero arrivate presto quelle dell’omosessualità.

Appena quindicenne, infatti, e da poco rientrata dal Regno Unito, dove suo padre per proteggerla dal razzismo l’aveva mandata per due anni a studiare, Lucy Schwob aveva incontrato una diciassettenne Suzanne Malherbe, promessa delle arti grafiche, divenuta poi Marcel Moore. L’incontro fra le due fu – a detta di Cahun – un colpo di fulmine, e presto divenne “passione gelosa ed esclusiva” che oscurava ogni altra cosa; osteggiata, com’è ovvio, dalle rispettive famiglie. In reazione ai forzati distacchi che ne seguirono, Lucy fu anoressica e tentò il suicidio. Qualche anno dopo, suo padre avrebbe sposato la madre di Suzanne, rendendole di fatto sorellastre, nulla mutando nel loro inscindibile sodalizio – continuato poi fino alla morte di Cahun – salvo la possibilità d’iniziare una convivenza, densa per entrambe di risvolti artistico-creativi, soprattutto nel campo della fotografia.

La scrittura fu, però, il primo mezzo d’espressione di Cahun. Ancora adolescente scrisse sul giornale paterno. Sue opere personalissime come “Chanson Sauvage”, “Ephémérides”, ed altri scritti come “Vue e Visions” e la serie delle Héroines – che trovarono nei disegni e nella grafica di gusto liberty di Moore un commento e una vera e propria chiave di lettura, più che semplici illustrazioni – furono pubblicati in Le Mercure de France, sul quale uscì pure una sua traduzione di “The task of Social Hygiene”, opera di Havelock Ellis. Collaborò al Journal Littéraire di Paul Levy, e diede alle stampe un libro autobiografico “Aveux non avenus”, intreccio di pensieri, disegni ed immagini fotografiche.Gli anni più fecondi della sua attività furono quelli tra il 1918 e il 1938, trascorsi a Parigi, dove insieme a Moore frequentò illustri artisti quali Philippe Soupault, Henri Michaux, Pierre Albert Birot, Roger Caillois, George Bataille, André Breton, Tristan Tzara, Salvador Dali, e Man Ray.
Negli anni Trenta Cahun si legò al Movimento Surrealista, e sostenne la diaspora di Contre-Attaque; fu impegnata politicamente ed artisticamente nella trotskysta Association des Ecrivains et Artistes Revolutionaires.

Nella sua prosa poetica, slegata dalle convenzioni narrative e talora esempio di uno “Stream of Consciousness” caro ai surrealisti, nel suo interesse per il teatro sperimentale, così come nell’immaginario, che tradusse in fotografia, si dimostrò perfetta interprete delle suggestioni artistiche avanguardiste del proprio tempo.Fra il 1932 e il 1938 Cahun fu una sorta di attivista all’interno dell’ambiente artistico parigino. Appartenne anche alla Fédération International de l’Art Indépendant; ma forse già delusa nel ‘34 pubblicò il polemico, “Les paris sont ouverts”, in cui rivendicava per l’arte un ruolo più concreto, di strumento per cambiare la società.

Come aveva scoperto, a dispetto di una facciata libertaria, l’ambiente surrealista come quello comunista, erano maschilisti e finanche omofobi: in tanta esaltazione dell’inconscio e della libertà erotica semplicemente ignorava altre possibilità per la donna che quella di essere oggetto del desiderio e musa ispiratrice della creazione intellettuale, tradizionalmente riservata al maschio. E fu probabilmente per questo che la presenza di Claude Cahun fra le file dei Surrealisti è rimasta poco documentata, nonostante Breton la definisse “lo spirito più curioso di questi tempi” e la incoraggiasse a scrivere e pubblicare.

Trasferitasi con la compagna, nel ’38, lontano dalla scena artistica parigina su un’isoletta del Canale della Manica, Jersey, si credette fosse deceduta durante il periodo della Seconda Guerra Mondiale, in seguito a deportazione.
Durante l’occupazione nazista dell’isola, le due donne avevano portato avanti per quasi quattro anni un’incredibile campagna di demoralizzazione delle truppe d’occupazione: protette da travestimenti, avevano invaso l’isola di volantini incitanti all’ammutinamento, scritti in lingua tedesca (che Moore conosceva bene), e firmati “Il Soldato Senza Nome”. Catturate e condannate a morte, avevano trascorso dieci mesi in prigionia, quando i Tedeschi sconfitti si ritirarono.
Intanto “La Rocquaise”, loro abitazione, era più volte stata perquisita e molto materiale fotografico era stato distrutto, perché definito pornografico.
Nel Dopoguerra Cahun tentò di riallacciare i rapporti col gruppo surrealista, incontrando Breton e Max Ernst. Nonostante la sua salute fosse stata minata dalla prigionia, progettava di tornare a Parigi quando morì nel ’54 a causa di un’embolia polmonare nell’ospedale di Jersey.
Nel 1972 moriva, togliendosi la vita, anche Marcel Moore, sua compagna nella vita e nell’arte.

Dimenticata per lungo tempo, Claude Cahun viene riscoperta solo negli anni Ottanta.

copertina del libro “L’Exptisme Intérieur”
copertina di “L’Exptisme Intérieur”

In seguito alla pubblicazione nel 1992 di una biografia scritta da François Leperlier (“Claude Cahun, l’écart et la métamorphose”) si moltiplicano le iniziative che ne diffondono il nome e l’opera: dalle mostre fotografiche ai saggi, dalla ripubblicazione dei suoi scritti a un film-documentario sulla sua vita. Ancor più della sua arte attrae forse il suo personaggio.

Il suo essere donna ed omosessuale, proprio i motivi che un tempo avevano reso più ardua una sua celebrità, la portano oggi alla ribalta. E attirano l’attenzione soprattutto sulla sua attività di fotografa, segnatamente su una gran quantità di “autoritratti” en travesti.

L’ossessione del proporsi davanti alla macchina fotografica come un’identità instabile e mutevole, fatta di maschere,sembra farne l’antesignana di Cindy Sherman, ma anche di un certo femminismo postmoderno. La tematica intima e autobiografica, legata al gioco dell’ambiguità sessuale, l’ha fatta paragonare a Nan Goldin.

Una lettura delle immagini di Cahun attraverso il filtro degli studi di genere, pur essendo avvincente è, però, largamente fuorviante perché al di fuori di una prospettiva storica reale. E il suo stesso ruolo nella creazione di immagini fotografiche, pare, vada parzialmente rivisto. Nella realizzazione, e presumibilmente nello progetto stesso degli autoritratti, come dei collage d’ispirazione surrealista, fu certamente coinvolta Marcel Moore.

Costei – detta da Cahun “l’altra me stessa” – a partire dal 1909 fu una presenza costante, la cui influenza di certo ebbe un gran peso, pur essendo soprattutto Cahun ad apparire sulle scene della società, con l’impatto delle sue mise maschili da dandy e dei suoi capelli cortissimi spesso tinti di rosa o d’oro, negli anni che le vedevano frequentatrici degli ambienti artistici parigini.

Claude Cahun fu, prima di tutto, una scrittrice, ma anche un’attrice: sentiva d’esserlo nella vita quotidiana; e lo fu per un periodo anche sul palco del Théâtre Esotérique di Paul Castan.

Nel disegnare un complesso emblema – sorta di logo societario – da giovane aveva tracciato le lettere “L S M” (iniziali intrecciate di Lucy Schwob e Suzanne Malherbe, che suonavano “Elles s’aiment”) sopra una figura composta da un piede in una scarpetta a tacco alto, che sosteneva un occhio e una bocca sormontati da una mano. Col proprio nome aveva individuato la bocca e la mano, con quello della compagna l’occhio e il piede: come dire che su quel piede si poggiavano tanto lo sguardo di Malherbe, quanto le parole e i gesti di Schwob.

Lucy Schwob & Suzanne Malherbe Logo
Logo di Lucy Schwob & Suzanne Malherbe Logo

Simboleggiando un essere nato dall’unione di due distinte e complementari individualità, Cahun assegnava a Moore un ruolo di “base”. E forse pensava al mito platonico di un’umanità primigenia fatta d’individui simili a gemelli siamesi maschi, femmine e androgini, i quali, scissi per volere di Zeus, si sentono spinti alla ricerca della metà mancante: l’altro sé stesso; nel quale ritrovare una completezza.

Si sa che Moore fu sempre dietro la macchina fotografica e poi in camera oscura; alla luce di quanto detto, sembra strano ridurre il suo ruolo a quello di una semplice operatrice. Piuttosto, la sua presenza, che poteva occhieggiare in forma di ombra all’angolo di un’inquadratura, o, in un’altra, il suo posare innanzi allo specchio in luogo della compagna, sono fra gli indizi che hanno talora fatto pensare ai cosiddetti “autoritratti” come a una sorta di gioco privato, più che a una consapevole ricerca artistica.

Se i collages o le anamorfosi (la più nota delle quali è quella pubblicata sulla copertina della novella di Georges Ribemont-Dessaignes “Frontières humaines”) avevano una loro ragion d’essere nell’adesione agli stilemi del Surrealismo, e non vanno molto al di là di questi, nei “ritratti” dei molti volti di Cahun troviamo un’indiscutibile originalità, che trae spunto da una motivazione personale profonda.

La “mascherata” e la moltiplicazione dell’Io individuale, per Cahun tende all’asessualizzazione, e infine all’annullamento di quest’Io destabilizzante. Essa va oltre il semplice “smascheramento” di una società maschilista: sconfina nella psicoanalisi, o meglio nella psicoterapia. Tendenza che si può riscontrare anche in certi scritti di Cahun.

Sullo sfondo degli “autoritratti” c’è un’angoscia per la quale volto e maschera si confondono: “Sotto questa maschera un volto. Non finirò mai di sollevare tutti questi volti”, scriveva Cahun in “Aveux non Avenus”.

Nondimeno resta probabile che queste foto fossero “generate” da un intento comune delle due artiste, sul quale possiamo solo fare congetture, visto che di Moore conosciamo molto poco e di Cahun, in realtà, solo quel tanto che è servito a farne una figura stereotipa e sopra le righe. Molto adatta al gusto dei giorni nostri, e nella quale si vuole scoprire a tutti i costi un’anticipatrice.

A quanto sembra, però, Claude Cahun non fu affatto una femminista, e anzi abbiamo testimonianze di una sua più o meno inconscia misoginia. Né portò avanti una prematura istanza gender.

Nel suo lavoro c’è forse una critica alla convenzionalità dei ruoli maschile e femminile, che la isolavano nel mondo dell’arte non meno che in società. Una critica che – malgrado la sua forma -non era sostenuta, tuttavia, da premesse teoriche simili a quelle di Judith Butler, la quale alla luce di un lungo discorso filosofico giunge a vedere il genere come un costrutto fluido slegato dalla condizione sessuale biologica.

Aveva, bensì, come riferimenti culturali Havelock Ellis e Karl Heinrich Ulrichs, i quali si limitavano ad assolvere come “naturali” comportamenti sessuali considerati prima di allora immorali o addirittura criminosi, senza mettere in discussione il legame fra sesso e potere, o la sovrastrutturalità dei ruoli sessuali: di Ellis – secondo le cui teorie il sesso è “mutabile” ed esistono molti stadi fra un essere totalmente maschile e uno totalmente femminile – in particolare, Cahun aveva tradotto un libro. A Ulrichs, invece, – che aveva coniato, traendolo dal “Simposio”, il termine “uraniano” per designare un “terzo sesso”, quello omosessuale – parrebbe accennare nel titolo di uno dei primi scritti cahuniani, rimasto inedito, “Les Jeux uraniens”. Da notare il fatto che i due teorici avevano parlato soprattutto, com’era scontato in quell’epoca, di omosessualità maschile; proprio come il dialogo platonico.

Claude Cahun aderì alla cultura del proprio tempo e lo visse, con gli strumenti che esso offriva, da outsider. Un’ipotesi abbastanza scontata farebbe pensare a tutta la sua opera come ad un continuo tentativo di giustificare il suo esserci come individuo che si pone al di fuori delle categorie.

Spesso le sue immagini, così come i suoi scritti, sembrano porre questioni sul suo diritto di essere semplicemente diversa da tutti gli altri. Un atteggiamento che Cahun aveva chiamato la sua “mania dell’eccezione”.

Rosa Maria Puglisi

(Pubblicato precedentemente su Cultframe: parte 1 – parte 2)

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Una vasta raccolta informatizzata di documenti e fotografie di Cahun e Moore è presente negli archivi del sito di Jersey Heritage Trust.

18 risposte a "Claude Cahun"

  1. E’ appena uscita l’ultima pubblicazione dell’EDITRICE QUINLAN, per la collana di saggistica ‘round photography.
    Si tratta di un saggio di Clara Carpanini che tratteggia in maniera esemplare l’opera e la figura dell’artista, scrittrice e fotografa Claude Cahun, nota all’estero, ma pressoché sconosciuta in Italia. Il libro è anche la prima monografia italiana su quest’autrice che ha anticipato di decenni l’uso dell’autoritratto fotografico che rende possibile l’indagine sul sé e sull’identità di genere così come sulla maschera sociale. Temi abbondantemente utilizzati da artisti contemporanei come Cindy Sherman, Francesca Woodman, Urs Luthi, ed altri, che Cahun ha messo abilmente ed originalmente in scena dal 1911 fino all’inizio degli anni ’50.
    André Breton in uno scambio epistolare la definì uno dei quattro o cinque spiriti più interessanti del proprio tempo e l’EDITRICE QUINLAN rende finalmente un doveroso omaggio a questo “spirito” multiforme con questo bel saggio, corredato da 16 immagini e da un’interessante prefazione di Federica Muzzarelli.

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    1. grazie per avermi fatto conoscere questa artista. Corro a comprare il libro….
      Io sto lavorado su me stessa da qualche anno, da quando M.Ackerman mi ha detto “lavora su te stessa, sei tu il personaggio”…..da allora ho iniziato il mio percorso fotografico con una lunga serie di autoscattti.

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  2. Ciao!

    Lavoro davvero interessante quello che stai facendo sulla fotografia in rosa 🙂
    Ti lascio l’indirizzo del mio blog, non è così ben strutturato e sviluppato ma consideralo come un gesto di gentilezza e di presentazione.

    Ciao ciao
    Veronica

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  3. Ciao, se ti piace Cahun leggiti “Vedermi alla terza persona” di Clara Carpanini. Una tesi di laurea che è diventata un libro (finalmente!). E anche l’unica biografia e (aggiungo io) “attraverso lo specchio” di Cahun scritta in italiano da un italiana.

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      1. Hai ragione non avevo visto il pingback:
        Allora ti consiglio un altro libro (io l’ ho letto all’università, ma è davvero interessante):
        Federica Muzzarelli “il corpo e l’azione: donne e fotografia tra otto e novecento”

        La Muzzarelli è stata mia docente a Rimini, e devo dire che è veramente una in gamba!
        .

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