Lo Specchio Incerto

Tra immagine e parola

tra parentesi


Verso Casa

(racconto pubblicato in Parole in corsa IV, raccolta di autori vari, Ed. FCS, Roma, 2006)

Lentamente, come ogni giorno, il tram della linea 19 scivola lungo i binari verso la periferia, sgranando come su di un rosario una dietro l’altra le consuete fermate mentre al suo interno le facce si avvicendano, come le voci e gli accenti: gente d’ogni razza e nazione scende e sale accaldata, urtando gli astanti, chiedendo raramente scusa. Ad ogni nuova partenza sembra impossibile vi si possa trovare ancora posto.

Eppure Lia era riuscita a sedersi. Il posto si era liberato d’un tratto come per magia: non avrebbe saputo dire chi l’occupasse solo un attimo prima. Inutile chiederselo. Grata al fato, si era accomodata sorridendo fra sé, con la confortevole sensazione di poter allentare le proprie tensioni su di un sedile, che in quel momento le pareva più sontuoso d’una poltrona. Un po’ di tempo, infine, per rilassarsi svuotando la mente: il suo tragitto durava almeno mezzora.

E’ tutto un vociare intorno. Come sempre, il disagio accresce l’intolleranza di quanti, stanchi per lunghe ore di lavoro, finiscono presto o tardi col cercare una qualche rivalsa su questo o quel disgraziato, che altra colpa non ha se non quella di trovarsi lì, pigiato accanto a loro.

Il caldo soffocante di quel giorno, sul vecchio tram arancione privo di aria condizionata, infiamma gli animi anche più del solito.

Guardando distrattamente fuori dal finestrino Lia sperava di riuscire ad estraniarsi da quella confusione: avrebbe voluto trovarsi altrove; chissà dove.

In strada le auto viaggiano di fianco al tram a passo d’uomo. La luce estiva, che inonda quel tardo pomeriggio riscaldando e ravvivando persino le facciate di certi palazzi solitamente dall’aria decrepita, grigi come sono per lo smog, porta Lia lontano. E’ una luce dorata che abbellisce ogni cosa, ma stranamente le mette dentro una malinconia senza forma.

Pensa alle sue giornate tutte uguali, scandite da quelle corse in tram, dove ora ha l’impressione di essere come in un involucro che le taglia fuori il mondo. Ma non è il mezzo, è lei stessa, questo lo sa bene.

Dov’è finito il gusto di lasciarsi trasportare?

All’inizio era divertente: il tragitto che la conduceva al lavoro o la riportava a casa era ogni giorno occasione di piccole scoperte. Le piaceva osservare e fantasticare sui luoghi e sulle persone, guardare gli anfratti della città dall’alto del tram; un punto di vista privilegiato: in strada non avrebbe mai notato certe cose; la strana edicola col santino su un balcone o la finestra che per un’illusione ottica sembrava aprirsi su di un parco all’interno d’una casa, sarebbero stati celati alla vista. In strada, il suo sguardo non si sarebbe mai potuto soffermare su tanti visi, i cui tratti somatici la intrigavano per la loro origine lontana; le cui espressioni la inducevano a riflettere sulla natura umana. Era un po’ come girare per il mondo, percorrere quel tratto due volte al giorno.

Molti sono scesi in quella piazza dove ci sono i capolinea dei bus che servono quella zona, fra le più popolose della città. Quelli che restano, sopraffatti dal caldo, oscillano al dondolio della vettura come nella trance di una danza senza note. Nel silenzio che dilaga oltre il rumore ritmico della corsa sulle rotaie, sono come fantasmi tristi, senza coscienza del proprio stato.

A Lia pare di vedersi, anche lei con quello sguardo assente. Si chiede quando abbia lasciato la vita, per scivolare senza accorgersene in quel limbo, dove ogni cosa è indifferente. Tutto è uguale a tutto, persino lei ad ogni altro là dentro. Ma chissà se è davvero così.

E’ ormai vicina a casa, per fortuna. Chiude gli occhi e resta a contemplare dietro le palpebre un colore indistinto; l’alone luminoso, sorta di negativo dell’immagine che stava fissando, già trascolora spegnendosi: scompare la scansione ritmica dei finestrini, scompaiono le sagome di chi gli stava di fronte.

Splash. Uno scroscio d’acqua e, d’un tratto, le appare il mare. L’immagine vivida d’un mare blu intenso sotto un cielo di smalto è una dolce sensazione che fa breccia nel suo cuore come un ricordo di tempi andati.

Quando è stata l’ultima volta che ha percepito colori tanto intensi e brillanti? Non riesce a ricordare. Dove sono finite quelle tinte accese? Sotto una patina di smog? Dietro la cortina delle sue insoddisfazioni?

Cerca di riscuotersi. Come quando nuotando ci si rende all’improvviso conto di non toccare e, colti di sorpresa, si annaspa verso terra tentando subito coi piedi il fondo, con lo stesso animo Lia si guarda attorno cercando la solida realtà.

Niente mare purtroppo, ma una luce sembra essersi accesa su ogni cosa intorno. Durerà? Forse è solo una fugace suggestione.

Ma che importa? Che begli scherzi gioca a volte la stanchezza.

Due finestrini più in là rispetto a quello di Lia, il vetro è bagnato dall’esterno. Un ragazzino seduto lì ride; sarà stato il lancio d’un gavettone rivolto a lui. La fermata di Lia è già passata. Scenderà e farà due passi a piedi.

Rosa Maria Puglisi

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