Ancora in corso, il festival CiternaFotografia. Cardine della manifestazione sono le mostre e filo conduttore di quelle principali – “Quelli di Bagheria” di Ferdinando Scianna ed altre 6, raccolte dal loro curatore Massimo Agus sotto la comune etichetta di “Memorie presenti” – è appunto la Memoria. Una Memoria che si declina in molti modi diversi, che sono – a seconda degli autori e dei casi – espressioni di un trascorso personale o collettivo, memoria storica o personale.

Sfilano così davanti allo spettatore le “Memorie presenti” di Giovanni Marrozzini (“Echi”), Manolo Cinti (“Il prezzo della libertà”),Waris Grifi (“Cotone e Poggetto”), Antonella Monzoni (“Madame”), Alessandro Vincenzi (“Forgotten Italians”, e del collettivo Terra Project (“Terremoti”), nelle quali si esprimono, per lo più, vicende passate che han coinvolto popolazioni, per intero o quasi: migrazioni in Argentina o in Crimea, la rivoluzione romena del 1989, l’evoluzione industriale di due quartieri di Piombino, ripercussioni sociali su terre colpite da sismi.

Si differenzia alquanto il lavoro di Monzoni, che ci racconta d’una illustre prigioniera di memorie passate, le quali s’intrecciano con la storia della fotografia, Madame Niépce (pronipote del celebre Nicéphore); e pare una parabola della vocazione melancolica della fotografia stessa.

Per nulla melancolico è, invece, il percorso di Ferdinando Scianna. Malgrado si tratti di un difficile lavoro di scavo in se stesso, non è infatti che la ricerca di un luogo interiore, ove la conoscenza delle proprie origini fa luce su una appartenenza culturale ed emotiva, ma anche su peculiarità personali. Una riscoperta di sé attraverso la riscoperta d’una Bagheria d’altri tempi, in larga parte reinventata attraverso i ricordi di nomi e volti, di riti e giochi, di vicende individuali e storie collettive.

Le immagini in bianco e nero di questo lavoro – già presentate in mostra qualche anno or sono e pubblicate in un interessante libro (Scianna ne parla qui) – sono state scattate nel corso degli anni,  in parte primi riusciti tentativi di un ragazzo, che non aveva ancora scoperto in sé la vocazione alla fotografia; in parte frutto di  “numerosi, discontinui, desiderati, temuti, felici, dolorosi, odiati, inevitabili ritorni”.

Da sempre interessato alla memoria, e al racconto che ne scaturisce, il fotografo siciliano le ha arricchite di testi aneddotici dai quali traspare quell’odio-amore per il proprio luogo d’origine, così tipico in chi proviene dall’isola; un complesso sentimento che spesso porta il siciliano a rievocare, a ritrovare tracce di un retaggio del quale resta inconfessabilmente fiero.

Nel raccogliere quello che egli ritiene un album di famiglia collettivo, fatto di volti di gente comune, da un lato riduce la propria memoria personale a qualcosa di universale – poiché i suoi personaggi diventano exemplum d’un passato sparito (trent’anni o quarant’anni fa, ogni paese di provincia aveva il suo venditore ambulante, un po’ barbone e un po’ poeta; la sua dinastia di tamburini; il suo grasso parroco “ossessionato dalle tentazioni della carne”; i suoi bambini e i suoi ragazzi dibattuti fra tradizione e modernità dilagante -, dall’altro consuma, infine, il proprio definitivo distacco con “un saluto per nulla nostalgico” alla Bagheria dei ricordi.

Queste mostre, come tutte le altre in programma (vedi il sito della manifestazione), potranno essere visitate fino al 16 maggio.