
E’ in mostra, presso S.T. foto libreria galleria di Roma, “Notebook”, ultimo lavoro di Lorenzo Castore, nato di concerto col team di questa galleria, per “dar vita a un articolato progetto di ricognizione nel territorio del vissuto quotidiano e della trasparenza emotiva”.
In una cinquantina di immagini in bianco e nero scattate in pellicola, infatti, il fotografo fiorentino riporta come in un “diario di bordo” le sue esperienze d’incontro con la gente, persone care o giusto incrociate fugacemente, ma soprattutto il suo rapportarsi col mondo circostante, attraverso un mezzo espressivo che al di là della professione, lo accompagna nella vita.
Scattate nell’arco di sette mesi, racconta Castore, “sono come degli appunti di un diario, non pretendono di indagare su altro che non le ventiquattro ore: quello che trovo per la strada e le cose che mi passano per la testa. Certo, vorrei che non fossero percepite come autoreferenziali, ma che potessero dare spazio all’immaginazione di chi le guarda, vorrei che ognuno ci si potesse sentire vicino, prossimo, che guardandole possa venire in mente di dire: ‘anch’io mi sono sentito così, so di che cosa stai parlando…’. Non sono didascalie della mia vita, ma fonti di calore”.
Hanno un’apparenza spesso fin troppo fortuita, ci restituiscono tuttavia un racconto. Una narrazione, com’è intenzione dell’autore, aperta alla nostra interpretazione, da leggere proprio in forma empatica, poiché lo stesso allestimento – persino la scelta di stampe, realizzate dallo stesso Castore come pezzi unici, in formati molto diversi fra loro – ci invita ad aprire all’immaginazione ed alla ricombinazione in vari percorsi visivi ed emozionali. Non ci sono fili conduttori prestabiliti.
A collegare fra loro queste visioni (che altro non sono se non vividi frammenti della percezione che il fotografo ha del proprio mondo) è solo il particolare sguardo dell’autore che ne “informa” inevitabilmente l’aspetto, in certo modo uniformandolo. Molteplici rimangono, invece, le situazioni e sfaccettati gli approcci emotivi che propongono.
Tutto nella mostra pare affermare una libertà d’azione che ai fotografi viene solitamente negata in nome di una fantomatica coerenza artistica, la quale spesso si risolve in operazione commerciale: affermare uno stile (o pseudostile) per permettere quella riconoscibilità immediata, che è come un marchio (o piuttosto una griffe) e agevola le vendite. Intrappolando a volte gli autori in infinite parodie di se stessi.
L’esposizione proseguirà fino al 15 settembre.