
E’ fotografia, ma sembra si tratti più di raffinata pittura, gioco astratto e sapiente di luce e di colori.
Accostate in serie che accrescono, attraverso lo svolgersi ritmico delle forme, il fascino di ogni singolo scatto, queste immagini vivacizzano e paiono illuminare le candide pareti dello Studio d’Arte Contemporanea Pino Casagrande, a Roma. In mezzo ad una delle due sale quattro teche esibiscono alcuni dei soggetti delle riprese come bizzarre sculture cartacee, come risultati di una verifica estetica e concettuale: quattro libri macerati e rimodellati dal mare.
A distanza di due anni, Ileana Florescu torna ad esporre in questa sede, e come allora (vedi articolo) il suo lavoro è permeato da una stimolante ambiguità, che induce lo spettatore ad ammirare in prima battuta la bellezza del mero dato visivo, delle forme e dei colori accattivanti, salvo poi rendersi conto ad un secondo sguardo che quel che ha di fronte è qualcosa di più che un gradevole pannello decorativo: è una riflessione sull’essere umano. Non per nulla l’opera che espone ha per titolo “L’umana sintesi”.

E’ una riflessione su come l’umanità si è “autorappresentata” in parole ed immagini (non solo visive): “in principio era il verbo” recita (quale migliore incipit?) la pagina che apre a questo lavoro sul bel catalogo pubblicato per l’occasione da “Silvana Editoriale”.
Compendio di quest’umano “immaginarsi” non possono che essere i libri, di ogni luogo e di ogni tempo. Scelti quasi per caso, o per destino?
Nelle fotografie, dunque, li vediamo inabbissarsi, avviluppati dalle onde marine che increspano, agitano frantumando, la loro immagine; la deformano fino a renderla pressoché indecifrabile, mutandone forma e senso. Affondano talora, invece, placidi, rivelando alla limpidezza cristallina del mare di Sardegna onde di carta, parole, e fraseggi musicali.
Brevi frasi estrapolate da quei libri glossano le immagini, dandoci l’indicazione di un preciso percorso.
Un lavoro davvero suggestivo, quello di Florescu, che provoca emozioni, ma soprattutto suggerisce altro dalla loro pura visione.

A penetrare meglio il senso di queste opere ci aiutano i testi contenuti nel catalogo sopra citato: l’intervista fatta all’artista da Sergio Bertelli, il testo di questi, ma ancor di più lo scritto di Diego Mormorio, curatore della mostra. Con immagini verbali, fatte di impressioni e ricordi (poiché è da lungo tempo amico della fotografa) ma anche di opportune citazioni – dal Baudelaire della celebre invettiva contro la fotografia, ad un grande pensatore quale Pavel Florenskij, che esalta le sane virtù artigianali di Bach -, egli ci illumina infatti sul fine e sui mezzi di Ileana Florescu: sulla sua totale indifferenza verso la rappresentazione della realtà in favore dell‘esercizio dell‘immaginazione, come sulla sua ricerca metodica e consapevole, attuata – riporto le parole dell‘artista – “vivendo e prendendo dal passato non meno che dall’infinito dello spirito”.
La mostra sarà aperta fino al 15 luglio.
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