Fino al 21 giugno è in mostra presso la LAC – Libera Arte Contemporanea di Roma in via del Teatro Pace 3 (nei pressi di Piazza Navona) quello che viene definito il “primo episodio” della serie In viaggio con Holga.
E’ un lavoro a quattro mani di due fotografi, Barbara Palomba e Paolo Cardinali, i quali hanno scelto di esprimersi – in reazione al tecnologismo imperante e “contro la sfrenata ricerca del mezzo fotografico dotato del maggior numero di pixel” – con l’ausilio di una celeberrima “toy camera”, la Holga appunto, cui fa riferimento il titolo.
Per chi – caso mai – lo ignorasse, si tratta di una fotocamera medio formato di plastica (in alcuni modelli lo è persino l’obiettivo!), fabbricata da circa venticinque anni a questa parte dalla LOMO (Leningradskoye Optiko-Mechanichesckoye Obyedinenie).
La sua estrema semplicità, così come la particolarità delle immagini che essa produce a causa di quelli che – di fatto – sarebbero normalmente considerati difetti tecnici (sfocature e vignettature, come entrate di luce anomale), ha fatto sì che la macchina diventasse un mito per una gran massa di persone, che si avvicina – talora senza grandi consapevolezze o capacità tecniche – alla cosiddetta “fotografia creativa”. La macchina è stata così corredata nel tempo di filtri e obiettivi, che ne accentuavano i risultati “creativi” ed alcuni fotografi professionisti non hanno disdegnato di sondarne le possibilità espressive.
Il fatto che resti pur sempre un “giocattolo per creativi” non infirma tuttavia minimamente la validità delle operazioni artistiche che con Holga si sono talora portate avanti. Non bisognerebbe, infatti, mai dimenticare – e per questo qui lo ribadiamo – che non è tanto la macchina quanto il fotografo a scattare una fotografia: non l’obiettivo della fotocamera (semplice o complessa che sia), il quale potrebbe addirittura sparire nel caso di in un foro stenopeico, ma lo sguardo dell’autore.
Così nella mostra “In viaggio con Holga” i due fotografi con le loro istantanee di viaggio, scattate tra Calcutta e il West Bengala, vorrebbero giustamente ribadire questo concetto e sfruttare le “magagne” di un mezzo tecnico (uno come un altro), per esprimere una propria visione della street photography, estremamente scarna e destrutturata.
Bisogna confessare che di fronte a simili operazioni si resta quasi inevitabilmente dubbiosi. E si finisce purtroppo con l’apprezzarne più le premesse concettuali che gli effettivi risultati, i quali vanno troppo spesso a confondersi in un oceano d’incontrollata creatività, al giorno d’oggi dilagante non meno del tecnologismo, che ha sempre più l’aria d’un semplice gioco quando l’arte è, invece, un serio e faticoso “mestiere”.
“In viaggio con Holga” sostiene Smile, ONG riconosciuta dall’UNESCO.
Non solo sono d’accordo con i tuoi dubbi Rosa Maria, ma vado oltre.
L’uso della Holga è l’ennesimo espediente, ormai inflazionato, per dare un velo di pseudo-poesia ad immagini altrimenti di una banalità desolante.
Non ci vedo nulla di diverso dall’antico vezzo pittorialista di “caricare” la nuda resa fotografica di valori “artistici” con manipolazioni che riducevano il gran pregio/difetto di una fotografia: l’assoluta parità di resa visiva nitida su ogni elemento della scena, sia esso un filo d’erba, un Napoleone o una rana.
Comunque il tempo, come al solito, si incaricherà di consegnare le “holgagrafie” alla categoria delle bizzare mode dell’inizio di secondo millennio, come già è accaduto per ogni altro espedientino tecnico del passato.
Un caro saluto.
Fulvio
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Ricambio il saluto e accolgo di buon grado il tuo autorevole parere 🙂
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Ciao Rosa Maria,
sono Paolo, uno degli autori di “In viaggio con Holga”.
Per prima cosa ti ringrazio per lo spazio e l’attenzione che hai voluto dedicare alla mostra.
Intervengo unicamente per inquadrare il sentimento vero con il quale abbiamo proposto questo nostro lavoro che, ti assicuro, non ha nessuna ambizione di imporsi come “artistico” ma vuole anzi rimanere ben piantato nell’ambito della fotografia di viaggio.
Il tuo riferimento “al semplice gioco” è l’intuizione che mi piacerebbe la mostra suscitasse in chi la vede. Ti assicuro che gli scatti sono stai fatti con questo spirito e mi dispiace se la cosa non traspare.
Un’ultima nota riguarda lo spazio espositivo Libera Arte Contemporanea – che ci ha generosamente e con grande slancio offerto i suoi spazi. Ovviamente la galleria connota già dal nome l’ambito nel quale valutare ciò che propone, e quindi non mi sottraggo al fatto che le nostre fotografie possano essere poste nell’ambito della proposta artistica a tutto-tondo.
Ciononostante rimangono valide le considerazioni suddette e la voglia di affrancare il nostro lavoro dalla presunzione di velleità artistiche o intelluttalismi vari.
Ciao
Paolo Cardinali
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Ciao Paolo,
capisco benissimo che è difficile esprimersi calibrando i mezzi che abbiamo a disposizione. Mezzi che dovrebbero – lo dico in generale – sostenere e precisare i nostri discorsi e non trasformarsi in inutili orpelli formali, i quali a volte tendono più che altro a seguire le mode, come sosteneva Fulvio.
In ogni caso i termini “aristico” o “creativo”, applicati alla fotografia, non sono parolacce, così come le premesse concettuali – cui accennavo – non è detto che si risolvano in “intellettualismi vari”. 🙂
Buon lavoro a te e alla tua collega e – se vi va – continuate a segnalarmi le vostre prossime proposte.
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Ovviamente non mi permetto di esprimere alcun giudizio sulla mostra in quanto non l’ho potuta visitare per motivi logistici. Di fatto mi sembra più che condivisibile a livello generale, quindi senza riferimenti precisi a questo evento espositivo, l’analisi espressa circa i dubbi che non possono non sorgere al diffondersi massificato di stilemi espressivi affidati all’impiego di uno strumento tecnico e/o tecnologico. L’aspetto che trovo più interessante in fenomeni di questo tipo è la dichiarazione che viene statisticamente rilasciata dai promotori di iniziative espressive analoghe (specifico ancora una volta che non mi sto riferendo alla mostra in oggetto, ma parlo in generale), in base alla quale tutto nascerebbe dalla necessità di non omologazione rispetto a schemi prestabiliti. Il che in assoluto potrebbe forse valere per il promotore iniziale, ma finisce per scivolare nel patetico quando finisce per essere riferito alla maggioranza dei suoi emuli che demandano allo strumento le loro capacità espressive. Insomma dopo un po’, molto poco in genere, si finisce per viaggiare solo in superficie ed esaurire la spesso labile vena innovatrice. Il che ovviamente nulla toglie al valore di ricerche nate dalla sincera e insopprimibile necessità di sperimentazione. Ma non illudiamoci che basti giocare a scimmiottare qualcosa o qualcuno per aver creato qualcosa di interessante. Come mi piace dire spesso, e mi riallaccio con questo al discorso di Fulvio, il Colosseo è rimasto a reclamare la fama di chi l’ha progettato e costruito, la Suburra invece è scomparsa. Il tempo, se lo si lascia lavorare in pace, è sempre il miglior curatore, che ci piaccia o meno.
Sandro
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Intervengo ancora una volta solo per precisare che il mio discorso, che vedo con piacere ampiamente condiviso anche da Sandro, non riguarda in particolare la mostra segnalata da Rosa Maria. Teoricamente questa mostra potrebbe benissimo essere “l’eccezione che conferma la regola”, ma le affermazioni di Paolo sulla giocosità dell’operazione, presentata in ambito d’arte contemporanea, mi rendono ancora più cauto. Aggiungo quindi che non trovo eticamente corretto appellarsi ad una imprecisata libertà ludica per superare ogni obiezione “intellettualistica”. Detto in termini più terra terra alle ormai migliaia di “giovani artisti”: piantamola lì di cadere dal pero pensando che il mondo sia nato il giorno stesso in cui abbiamo “creato” qualcosa che ci pare “bello”. Esiste una tradizione piuttosto lunga con la quale confrontarsi per riuscire poi, forse, ad aggiungere davvero qualcosa di interessante al già fatto e già detto.
Amen.
Fulvio
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Prendo ancora la parola per indicare il motivo per il quale io e Barbara abbiamo, in questo caso, utilizzato la Holga.
Lo specifico, senza nessuna vena polemica, ed essendo consapevole che il dibattito si sta svolgendo sull’approccio generale all’uso delle toy camera, perchè è un elemento che non mi pare sia stato considerato.
La scelta della Holga, nel nostro caso, è dovuta al fatto che, specie in un paese come l’India, l’uso di una macchinetta di quel tipo azzera la distanza con il soggetto. Cioè crea con esso un rapporto diverso: più vicino ad una situazione di ‘gioco’ che di ‘reporter/soggetto’. Questo tipo di situazione ci interessava.
Immaginate bene la differenza di avvicinarsi ad un bimbo con uno zoom Nikon rispetto ad una Holga ! … quello che volevamo era questo tipo di situazione.
Quindi a parte l’aspetto estetico l’uso della macchina ‘giocattolo’ apre anche elementi diversi di analisi.
Paolo Cardinali
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Devo dire che sono contento della bella piega che sta prendendo questa discussione. Ti ringrazio quindi molto Paolo per l’approccio aperto e dialettico che stai tenendo.
Detto questo, rispondo alla tua considerazione con una ulteriore nota.
Il tipo di approccio che invochi come determinante per la scelta di una “toy camera” come la Holga è assolutamente praticabile anche con altri strumenti fototecnici di pari costo e discrezione.
Ti faccio l’esempio di un lavoro che puoi vedere nelle pagine personali di LUIGI WALKER (http://luigiwalker.wordpress.com). Si tratta di “Transiti” di Francesco Cianciotta. Quel lavoro è stato realizzato con una fotocamerina da pochi euro. La differenza, rispetto alla Holga, è però che quella fotocamera lì rispetta i canoni normali della ripresa fotografica. Quindi l’eventuale interesse di ciò che si vede fotografato è dovuto al pensiero di Francesco e non ad una particolarità tecnica dell’oggetto adoperato. Mi comprendi?
Ti invito a fare un ulteriore esperimento per meglio comprendere il mio punto di vista. Vai nella sezione “immagini” di Google e usa “Holga” come chiave di ricerca. Vedrai apparire centinaia di fotografie tutte ugualmente vignettate, sfocate, slavate e difettate. Alla faccia della “creatività”…
Grazie ancora Paolo e alla prossima.
Fulvio
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Scusate, intervengo sentitomi preso in causa (grazie, peraltro). C’è un aspetto specifico del lavoro con una macchina giocattolo, che poi è solo una macchina fotografica (HCB usava un solo 50mm quasi sempre alla stessa distanza e quasi sempre con lo steso diaframma) ed è il fatto che i limiti impongono una visione specifica della realtà. Con la macchinetta che ho usato, il fatto che avesse un solo tempo e un solo diaframma ha imposto che cercassi la luce che poteva andare bene nell’ambiente nel quale ero. Difatto, alla fine, la serie si è composta da se perchè i limiti ne hanno definito le possibilità, ma non le ha eliminate. Dal mio punto di vista non ho lavorato su un concetto, ma su una situazione che, a causa dei limiti, mi era concesso riprenderla solo in pochissime maniere. E devo dire che questa è anche la definizione che Gregory Bateson da dell'”ordine”: “il disordine esiste perchè ci sono pochissimi posti per l’ordine e moltissimi per il disordine” (dai metaloghi con la figlia in “Verso un’ecologia della mente”, adelphi ’82). Credo insomma che le possibilità siano tante, che i difetti siano effetti e che la concettualità di un lavoro/progetto possa essere definito a posteriori più che ad anteriori.
Ciao e grazie
Francesco Cianciotta
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bellissima discussione, pur concordando con il punto di vista di Fulvio, non riesco a trattenermi dall’abbassare il livello della conversazione chiedendo al buon Francesco Cianciotta qualche dettaglio in più sul tipo di macchina utilizzata.
grazie
Michele – Roma
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Se si vedono dentro la propria mente luoghi e persone ritratti in questo stile è giusto riprenderli con la Holga.
Altrimenti una scena banale rimane banale anche con questi difetti.
E’ tutto molto semplice.
Io uso una normale reflex, se la realtà registrata così coms’è non rispecchia i sentimenti che mi trasmette, allora modifico la foto.
Possono esserci 10 foto che hanno bisogno delle stesse modifiche, per carità, ma in linea generale non vorrei due foto uguali una dietro l’altra.
Voglio dire, se riprendi dei lavori in corso con la Holga perchè ti trasmettono che ne so inquietudine, distruzione, sfruttamento, ecc, perchè usare la stessa macchina che ti da quegli effetti particolari per i bambini?
Saluti
DanX
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Rispondo a Mike Nardini:
Mica voglio trattenere un segreto, ma è che la macchina non ha marca. Una delle cinque che ho usato (è che sono talmente fragili che si rompevano per l’usura: me ne sono rimaste sane tre delle quali una acciaccata) l’ho addirittura trovata come gadget in un duty free di Salvador di Bahia assieme ad un liquore: non ho comprato la bottiglia , però la macchina me la sono fatta regalare pagandola con le risate dei commessi. Le ho comprate nel ’96 e sono come tutte le macchinette di plastica dell’epoca, solo che dentro ha una mascherina che da il formato panoramico, nel senso che taglia una porzione del negativo sopra e sotto. Le uniche scritte sopra sono “Widepic”, eppoi “Focusfree”. Non so mica se se ne possono trovare in giro, chè all’epoca le pagavo 10.000 lire (un furto, direi), ed oggi, nel mondo digitale, credo che non abbiano senso. Le caratteristiche tecniche sono queste: un solo tempo (1/100 dichiarato) un solo diaframma (F11 dichiarato) e una sola lente di plastica.
Cari saluti a tutti e grazie della bella discussione
Francesco
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Carissimo Francesco
ti confesso che alla scoperta delle tue foto sul sito di Fulvio, il primo pensiero è stato:
” ma come fa questo matto a fotografare sugli aerei con una 6×17? ”
e poi:
” sono proprio belle, prima o poi sta’ pazzia di comprare una 6×17 mi tocca farla ”
Che avessi ancora molto da imparare sulla fotografia mi era chiaro, ma quando ho poi letto che si trattava di una toy camera, ho cominciato ad agitarmi,
Toy camera? Ma è mai possibile?
Allora veramente non ci capisco proprio nulla !!!
Quale magica alchimia si nasconde dietro immagini così belle, dettagliate, in bolla e senza distorsioni prospettiche?
Ludicamente (come dice il buon Fulvio) anche io ho provato a utilizzare una toy camera 35mm,
i risultati erano buoni, ma tecnicamente parlando, nulla di lontanamente paragonabile alla qualita’ tuoi splendidi lavori.
questa/e WidePic, nelle tue mani riesce a produrre risultati veramente notevoli
Ancora complimenti…. e non buttare quelle rotte magari si possono riparare.
Buona fortuna & saluti a tutti
Mike
mnardini@mail.com
ps – è la quinta volta che provo a postare questo commento, speriamo bene
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Mike tocca un punto fondamentale della questione.
Mentre chi usa una Holga si garantisce uno strumento automatico per “difettare” in modo oggi ritenuto “artistico” le fotografie, chi, come Cianciotta, sceglie una fotocamera economica (chiamarla toy camera mi sembra proprio riduttivo) si ritrova con uno strumento che, pur limitando al massimo le funzioni, rispetta le leggi ottiche e prospettiche della fotografia.
Proprio per questo motivo, una fotografia realizzata con la fotocamera di Cianciotta può essere scambiata per quella possibile solo alla ben più ingombrante e costosa 6×17. Ovviamente, questo può accadere a patto però che l’autore impieghi il mezzo nell’ambito di situazioni che ne esaltino le rudimentali possibilità.
In soldoni, la cosa migliore che può fare una fotografia è di sembrare una fotografia. Più si allontana a da lì è più diventa cattiva pittura fatta con il mezzo meno adatto.
Saludos
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Ringrazio Fulvio per la sua chiarezza. E’ così, una macchina fotografica è una macchina fotografica.
Essendo il progetto Transiti iniziato per caso, mi sono posto poche domande rispetto all’apparecchio che utilizzavo: era pratico e maneggevole, me lo avessero requisito avrei perso pochi denari, mi permetteva di scattare senza tanti pensieri e consentendomi di concentrami sul colpo d’occhio.
Ciò che vorrei aggiungere è che se avessi usato una macchina “normale” (una nikonF2AS quale ho ad esempio, per non arrivare ad una 6X17) sarei stato molto visibile e probabilmente percepito come “minaccioso”, e forse questo avrebbe interrotto l’andamento del lavoro. Insomma, alla gente attorno a me potevo sembrare un pò “bizzarro” e più che altro suscitare sorrisini. In questo senso la macchina è stata funzionale al progetto, e forse quanto dico si ricollega all’intenzione di usare una Holga per attenuare la distanza tra soggetto e fotografo, come dice Paolo, appunto.
Saluti a tutti
Francesco
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Tutto bene.
Ribadisco solo che tra lo strumento di Francesco e quello di Paolo corre sempre la differenza che il primo non differisce dalla resa di una qualunque reflex se non per la rudimentalità, l’economia e, in ultimo ma non per ultimo, la discrezione. Invece quello di Paolo introduce variazioni di resa così alterate da rendere del tutto secondario il dichiarato vantaggio della distanza attenuata.
Con questo intervento, devo prendere congedo temporaneo dalla discussione. Se ci saranno risposte o altri commenti li leggerò solo tra diversi giorni.
Buon proseguimento 🙂
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Caspita come è andata avanti la discussione !!!!
Visto che tutto è nato dalla mostra mia e di Barbara presumo che qualcuno possa essere curioso di vedere le foto!. Le ho messe sul mio myspace.
Ciao
Paolo
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… ooops … scusate o non ha funzionato l’href o ho sbagliato a mettere il link ….
http://www.myspace.com/patientb
è l’indirizzo del mio spazio.
Sorry
P.
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Ciao Paolo,
ho visitato (giustamente!) la vostra mostra sul tuo spazio. Le foto mi sono piaciute, mi sono molto piaciute. Mi ha colpito l’uso del colore, così saturo, molto attinente all’India così come l’ho vista: mi ricorda moltissimo i manifesti e le locandine pubblicitarie che trovavo un pò dappertutto nei negozi e nei mercati, e in questo senso trovo che stabilisca una coerenza vera con il luogo, qualcosa che si sottrae all’ego del fotografo e si avvicina al soggetto. Mi piace molto la spontaneità che avete saputo riprendere nei soggetti.
Devo dire che però sono però alla fine d’accordo con Fulvio, nel senso che mi disturba la vignettatura tipica della Holga, e mi sembra che rimandi ad un genere e tolga un pò forza al lavoro. Non sono così contrario all’uso del mezzo: ho visto in giro delle bellissime immagini scattate (conosci il lavoro di Ackermann sull’India?) e non sono contrario alla vignettatura e ai vari difetti (che considero effetti, una volta che si riesce a farli propri), ma in questo caso li trovo distonici con il progetto, forse un pò “modaioli”. Ma nel complesso il lavoro, per quel poco che ho visto, mi è piaciuto. Forse però conviene ascoltare quello che Fulvio dice, nel senso che il vostro scopo, quello di avvicinarsi al soggetto con facilità, poteva essere raggiunto con un mezzo che non preponderava tecnicamente. Se ti può essere utile, si trovano in giro nei mercatini delle macchine 6X6 degli anni ’50/’60 (Ferrania, Agfa Isola, ecc.) che consentono l’uso del formato, sembrano anch’esse dei giocattoli, non hanno vignettaure e consentono qualche opzione in più sui diaframmi (quelli della Holga son finti!) e sui tempi.
Ancora complimenti ad entrambi e in bocca al lupo.
Francesco
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