Già dai primi del mese sono in corso a Roma due interessanti mostre fotografiche riguardanti l’opera di Alexander Rodchenko.
Una delle due, quella presso la Galleria Valentina Moncada si chiuderà per la verità domani, e solo per due giorni sarà ancora possibile ammirare le 26 stampe in edizione limitata del primo portfolio stampato dalle lastre originali. Ogni stampa è numerata, titolata a matita, e timbrata Rodchenko Atelier.
L’altra, patrocinata dall’Assessorato alle Politiche Culturali del Comune di Roma, visitabile nei locali dello Shenker Culture Club di Piazza di Spagna, si protrarrà invece fino alla fine di settembre. Quest’ultima presenta 30 fotografie del Portfolio Classic Images, pubblicato nel 1994, e ventotto fotografie della serie Portraits, Rodchenko and His Circle, pubblicato nel 1998. Foto stampate da negativi originali per mano del nipote Alexander Larientiew nella camera oscura di Rodchenko a Mosca.
Organizzate in collaborazione con Photology, le due mostre sono state precedentemente esposte a Milano e Bologna, e dalle note riguardanti stampa e tiratura si capisce che sono state pensate come una vetrina per i collezionisti: i prezzi di queste pregiate stampe vanno – pare – dai quattro ai settemila euro.
La selezione d’immagini, al di là di tutto, è di grande interesse perché, offrendoci un arco temporale fra il 1924 e il 1947, copre praticamente l’intero percorso fotografico dell’artista russo, noto soprattutto per la sua adesione al Costruttivismo, ma la cui arte ha spaziato attraverso varie correnti avanguardistiche, delle quali troviamo eco in queste foto. Persino laddove diviene manifesta la pressione del regime – che lo accusa di essere troppo estetizzante a discapito dei contenuti e gli impone di dedicarsi ad un fotogiornalismo fatto di riprese di sfilate militari ed eventi sportivi – ritroviamo la sua distinta impronta formale.
Nei suoi scatti, siano essi ritratti, scene di vita quotidiana o paesaggi urbani, ci colpiscono il movimento ed il ritmo di luci e forme, la geometrizzazione della realtà e l’interpretazione dinamistica dei pattern visivi scoperti in ogni dove. Un’interpretazione non priva di significazione interiore, che fornisce empaticamente allo spettatore spunti metafisici oltre che dinamico-spaziali: quasi un’epifania gestaltica.
Scriveva Rodchenko: “In fotografia vige il vecchio punto di vista, l’angolo visuale di un uomo in piedi che guarda diritto davanti a sé e fa quelle che io chiamo «riprese ombelicali»… Io combatto questo punto di vista e lo combatterò insieme ai miei colleghi”.
Le sue sono, infatti, riprese “eccentriche” (nel senso proprio del termine): diagonali, dall’alto in basso, dal basso in alto.
Totalmente insolite per l’epoca, e tuttora moderne, stabiliscono – da parte di questo propugnatore dell’ideale di un’arte come espressione della vita quotidiana – una precisa volontà di rompere gli schemi consueti a partire dalla percezione della realtà, attraverso una sua nuova rappresentazione, che intendeva rendere infine sorpassata quella antica, legata ad una centralità ancora rinascimentale.
In tale ottica, cambiare la percezione della realtà significava rivoluzionare un concetto di realtà affermato da secoli.