Giorni fa ho ricevuto presso la mia e-mail l’annuncio della nascita di una nuova rivista digitale. Tale notizia ha acceso la mia curiosità perché, a partire dal suo titolo, il neonato sito denunciava una specializzazione settoriale particolare ed interessante, ma a prima vista non ricollegabile alla fotografia.
La scheda del suo progetto annunciava, infatti, che “Patrimonio di Oreficeria Adriatica”- questo il nome della rivista – “intende promuovere, sviluppare e diffondere la cultura legata al patrimonio orafo in particolare dell’area adriatica”.
Il riferimento geografico così preciso ha motivazioni facilmente deducibili dalla storia di quest’area dominata economicamente e culturalmente da Venezia per circa otto secoli.
Si precisava inoltre che “L’obiettivo è di intravedere il senso del costruire quando lo stile si legge come concatenazione, tonalità particolare, progressione ineguale di misure e rapporti … Le pietre preziose, gli smalti e le filigrane esprimono il gusto di una antica committenza colta e raffinata … e di una pratica artistica che, nella Modernità e nell’età Contemporanea, esprime con altre declinazioni un nuovo sentire nel contesto dell’odierna società globalizzata e multiculturale“.
Al di là di tale intrigante prospettiva, visitando il ben fatto sito, mi sono accorta che c’era persino il legame che andavo cercando con la fotografia.
Sono lieta di condividere, perciò, con voi la scoperta del suo numero 0, segnalandovi in particolare due articoli di questa uscita, che credo potreste trovare di grande interesse.
Il primo s’intitola “Fotografare l’oreficeria, ovvero l’arte dell’arte”, ed è scritto da Mark Edward Smith, fotografo professionista ed autore di vari volumi di reportage fotografico d’arte.
In esso egli descrive il proprio lavoro con dovizia di particolari, spiegando anche alcuni trucchetti espressivi nella gestione e delle luci e delle ottiche, e distinguendo la foto documento dalla foto commerciale. Sottolinea i limiti e peculiarità della fotografia d’arte, che non potendo in alcun modo sostituire la preziosità dell‘oggetto ripreso, tuttavia ”può divenire “memoria”, può indurre emozioni, può essere un’altra forma di arte”. Elogia la praticità dell’innovazione tecnica del digitale. Da insolito reporter conclude però dicendo: “non dimentichiamo, come diceva Bresson, che il fotografo cattura “l’istante decisivo” per trasformarlo in opera d’arte”.
Il secondo è “L’illuminazione dei gioielli tra luce, percezione e conservazione. La progettazione delle teche espositive”, di Marina Vio. Leggete attentamente le sue note biografiche!
Di carattere prettamente tecnico, pare meno esplicitamente attinente alla fotografia, ma è – secondo me – semplicemente formativo per chi lo sappia leggere in un’ottica fotografica, perché parla dettagliatamente dell’utilizzo dell’illuminazione, mezzo fondamentale per la resa, ma anche per la comunicazione attraverso il mezzo fotografico.
A voi, comunque, il piacere di scoprire il resto.