Lo Specchio Incerto torna per offrire nuove suggestioni ai suoi affezionati lettori. In un’ottica partecipativa di condivisione, ho scelto ora di accogliere una gradita e preziosa offerta di collaborazione e spero ne possano giungere presto altre per dar nuova vita al blog (quindi chi volesse proporre qualcosa, sappia che è il/la benvenuto/a).
Con questa bella intervista a Virgilio Carnisio, noto “sguardo” della Milano più autentica di ieri e oggi, ci porta il suo contributo Yelena Steffen Milanesi. Accogliamola insieme! 🙂
Questa è la sua breve nota biografica
Yelena Steffen Milanesi è artista visiva e pianista, nata e cresciuta a Milano con lontane origini ungheresi. Si è laureata con lode presso l’Accademia di Belle Arti di Brera Milano, avendo una prima laurea in Scienze Naturali con specializzazione in entomologia. Ha una quasi decennale esperienza nel campo fotografico e delle belle arti, in cui opera come ritrattista con particolare attenzione al nudo FineArt; collabora alla creazione di tessuti e stampe d‘arte per diverse case di moda ed ha al suo attivo diversi premi/mostre.
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Ed ecco finalmente la sua … Intervista a Virgilio Carnisio (3 Novembre 2017)
Buona lettura!
Quando hai cominciato a fotografare e cosa ti ha spinto a farlo?
Ho sempre avuto una passione innata per la fotografia e le prime immagini che avrei utilizzato per le mie pubblicazioni negli anni successivi le ho scattate a 18 anni. Si trattava di due scorci della Milano povera: le lavandaie lungo il naviglio pavese e un orto al limitare di una fabbrica in zona Barona. Il mio desiderio, da subito, è stato quello di documentare per salvare almeno il ricordo.

Milano, la Darsena in viale Gorizia, 1960
Le tue origini hanno influenzato molto la tua fotografia?
Sì, sono state determinanti. Pur piccino ho mantenuto ricordi della guerra con bombardamenti e immani devastazioni e pure della lotta civile, amarissima a ripensarci, ed infine il ritorno alla pace tra mille difficoltà e tanta speranza.
Bisogna studiare per fare buona fotografia?
Per fare documentazione di strada bastavano poche nozioni e molta pratica perché le fotocamere usate erano semplici e chiare. All’opposto per alcuni usi specifici della fotografia (architettura, macro, riproduzioni ecc.) uno studio approfondito era indispensabile.
Perché hai scelto la “old street Photography”? Pensi che può insegnare ad osservare il mondo?
Dopo due anni di scuola serale comunale conseguii un attestato in fotografia pubblicitaria; feci subito pratica in uno studio che trattava quasi solamente moda e capii ben presto che non era quello che volevo. Avevo bisogno, delle vie, dei cortili, della gente, di tutto quello che la città offriva fisicamente ed in modo corale, e di respirare con essa. Documentare per riportare è, per me essenziale, per entrare nelle pieghe della città e della società, per capire la facciata ed il backstage, per creare un mosaico capibile e veritiero.

Milano, via Magolfa 15, 1969
Quale è stato il momento della tua vita in cui ti sei sentito più legato alla fotografia?
E’ora, da qualche mese a questa parte, tempo di riflessioni e di bilanci.
Ci sono stati o ci sono dei maestri fotografi o artisti a cui ti ispiri?
Ci fu all’inizio un libro “del miracolo” che mi scosse alquanto con fotografie dure, crude, molto contrastate, anche sfuocate, ma nuovissime, quasi un pugno nello stomaco perché scavavano nella vita reale della città, senza titubanze o auto censure. E’ “ Milano, Italia” di Mario Carrieri, 1958.
Perché la maggior parte delle tue fotografie sono in BN?
Non è stata una scelta. Mi è venuto così, naturalmente. Vivevamo in un mondo in cui l’immagine stampata era quasi sempre in bianco e nero, sia sui libri che sulle riviste e nel grande cinema italiano e francese di quegli anni, un periodo magico e fecondo come mai più avrei riscontrato nella mia pur lunga vita.

Milano, corte a ringhera, 1969
Come è avvenuto il passaggio analogico/digitale?
E’ avvenuto nell’agosto del 2016, dopo sessant’anni di analogico e sempre con la medesima pellicola, la TRI X della Kodak.
Mi ero ripromesso di fare, come lavoro finale, una lunga verifica sulla Milano di oggi, sia nel centro che nelle periferie, approfondendo anche quelle zone “grigie” che sono né l’uno né le altre e solitamente poco documentate perché giudicate, a priori, scarsamente interessanti. Un lavoro di lungo periodo e di grande portata che prevedeva un rilevante numero di scatti e una varietà di veloci cambiamenti. Pensai così ad una camera digitale che potesse accogliere i miei obiettivi manuali e presi una Pentax che non deluse le mie aspettative: uso facile e veloce e il tutto a costo zero, molto apprezzato dato che in un anno ho realizzato più di 21.000 immagini già parzialmente selezionate.
Hai anche un portfolio ritrattistico, sembra ispirato dal neorealismo, delicate e potenti allo stesso tempo, c’è ne puoi parlare?
Il neorealismo, cruccio e delizia dei fotografi (ma non solo) degli anni ‘50 e ’60! Certo, un po’ era dentro di noi, nel DNA degli anni della fanciullezza e dell’adolescenza, e qualche segno riaffiora, di tanto in tanto, in tutta la vita fotografica. Faccio qualche fotografia di nudo solo da un anno per capire se ci sono analogie con la fotografia di documentazione e direi che ci sono o, meglio, il mio occhio è sempre il medesimo, così come il punto di osservazione ed il risultato cui vorrei arrivare.
Per ora sono soltanto balbettii ma mi piacerebbe andare avanti.
Quale è l’esperienza espositiva che ti ha dato più emozione?
La prima, nel 1962 al Politecnico di Milano, e l’ultima che è sempre chiusa nel mio cuore e nella mia mente.

Fotografi da 50 anni, come è cambiato il tuo modo di fare fotografia?
No, non è cambiato anche perché mi viene naturale fotografare così, soggetto o sguardo diretti verso l’obiettivo, punto di ripresa frontale però, a pensarci bene, ora mi accorgo che talvolta “rubo” qualche immagine, mentre prima non succedeva e credo che ciò dipenda dall’estrema praticità e rapidità della camera digitale.
Quali sono i tuoi progetti futuri?
Finire il mio reportage su Milano, seguirne gli ultimi cambiamenti e collaborare maggiormente con gli splendidi e competenti amici dell’A.F.I. Archivio Fotografico Italiano, che hanno acquisito tutto il mio lavoro fotografico durato una vita intera.
Lasciaci una tua “frase mantra”!
“Fotografo perché voglio bene e non ho altro modo per dirlo”