
Ho conosciuto Monica Delli Iaconi qualche anno or sono su facebook, dove condividevamo diverse amicizie, prima d’incontrarla dal vivo. E a quel punto avevamo la sensazione di essere amiche di vecchia data. Non solo perché ci eravamo più volte confrontate – anche animatamente – via chat, ma soprattutto per il fatto d’esser state entrambe allieve di Giuliana Traverso. Il riconoscimento di un’esperienza che aveva lasciato in noi un’importante impronta, insomma, ci rendeva vicine.
Fotografa e insegnante, Monica ha ormai da tempo ha messo in luce il suo talento di scrittrice, servendosi inizialmente della parola a commento delle proprie immagini. Con una raccolta di “pensieri sparsi” dal titolo “Il re senza corazza” (edito da Matithyàh) ha temporaneamente rinunciato alla protezione di un filtro – quello della fotografia – attraverso cui guardare al mondo in una modalità sicura e protetta. Quell’esperienza ha certamente avuto per lei il sapore di un mettersi in gioco in maniera nuova, di un esprimersi in maniera diretta lasciando emergere – senza le ambiguità semantiche proprie della fotografia – suggestioni personali profonde. Ma ne “La protagonista è assente”, suo ultimo libro, la fotografia ritorna. Non da protagonista (in un lavoro in cui il titolo stesso rimarca come il concetto stesso di protagonismo sia bandito). Tanto meno ancella della parola.
Fotografia e scrittura s’intrecciano in questo libro con pari dignità allo scopo di portare in luce temi universali in cui ognuno può riconoscersi: il sogno, l’amore, la speranza, la memoria e le aspirazioni future. Come scrive nel presentarlo Bruno Sullo, l’autrice “offre una molteplice e diversificata prospettiva di lettura: consente il piacere dell’immagine e, al tempo stesso, l’acquisizione dello straordinario contributo di contemporaneità espresso dai testi. I due elementi sono complanari e contemporanei, inscindibili eppure autonomi”. In questa maniera i due testi, quello scritto e quello visivo, invitano il loro lettore a partecipare nella costruzione di un senso, aggiungendo – attraverso la loro libera interpretazione – molto del loro sentire.
Mi fa piacere condividere, dunque, con voi questa breve chiacchierata a proposito del suo lavoro creativo. Brevi battute che, mi auguro, possano incuriosirvi su questa autrice tutta da scoprire.
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– Buongiorno Monica, ti va – innanzi tutto – di raccontarci come e perché ti sei avvicinata alla fotografia?
Mi sono avvicinata laal fotografia grazie a mio padre: comprò una zenit con gli obiettivi base (gradangolo tele e 50mm) e cominciò a fare fotografie, da autodidatta. Mi affascinò e cominciai a osservarlo e a studiare su un piccolo manuale, la tecnica fotografica. Avevo circa 12-13 anni.
– Il tuo lavoro d’insegnante e la tua formazione culturale, quanto hanno pesato sul tuo fotografare e sulla tua scrittura?
Fare l’insegnante è stata una mia scelta. Dopo la scuola superiore decisi di iscrivermi a Pedagogia contestualmente cominciai a lavorare nel sociale. Cominciai a capire se potevo specializzarmi un po’ anche con la fotografia. Sono degli anni delle scuole superiori, le mie riflessioni e indagini sui corsi di foto. Molto costosi, alcuni fuori da Genova, quindi improponibili. Poi verso la fine degli anni 80 scoprii che a Genova c’era una scuola di fotografia particolare. Riservata a sole donne e condotta da una esperta e stimata fotografa in campo internazionale: Giuliana Traverso. Appena guadagnai il mio primo stipendio mi iscrissi. Ecco è stata la formazione pedagogica unita al metodo di insegnare fotografia di Guliana a formarmi. E sicuramente hanno influito moltissimo sul mio modo di “guardare attraverso l’obiettivo”. La scrittura, almeno la mia, non era prevista. Possiamo chiamarla un’evoluzione del percorso creativo. Decisi di fare la mia prima mostra perché avevo voglia di realizzare un progetto covato da tempo: tradurre in immagini le poesie di Montale. Era il 2004. Da allora ogni mio progetto fotografico si dotò di testo. Parole di altri. Finchè un giorno, in treno, non buttai giù alcuni pensieri. Fu l’inizio del Re senza corazza.
– Come scegli se esprimerti attraverso l’immagine o la parola?
Direi che non lo scelgo, a volte sono imprescindibili l’uno dall’altra, a volte mi sento di esprimermi più con l’uno a volte più con l’altra. Stati d’animo. Attualmente c’è una spinta verso la narrazione.
– Il titolo “Il re senza corazza” faceva riferimento ad un mettersi a nudo nel momento in cui mettevi momentaneamente da parte la fotografia. E’ forse proprio la fotografia, per te, la corazza a cui si fa riferimento?
– No esattamente il contrario: la fotografia mi ha permesso di “uscire fuori” di mostrarmi, di offrire le mie emozioni. La corazza nasce dalla riflessione sull’incapacità di mettersi a nudo, in generale non solo la mia, e sul concetto che non è mostrandosi “corazzati” che si governa meglio il proprio regno.
– Quanto nella tua produzione creativa ha che fare con le tue emozioni e quanto con la necessità di comunicare le tue riflessioni razionali sulla vita e la società?
Le emozioni sono l’incipit di entrambe le scritture. Le riflessioni su ciò che accade intorno a me o nella mia vita mi suscitano movimenti emozionali che sublimo scrivendo o fotografando.

Monica Delli Iaconi, si è laureata in pedagogia con una tesi sulla fotografia. Ha vissuto a Genova fino al 1992, dove ha frequentato la scuola di fotografia diretta da Giuliana Traverso “Donna Fotografa”. Attualmente vive e lavora in Toscana nella provincia di Pisa. Ha esposto le sue fotografie in varie mostre in Italia e in Germania. Alcune sue fotografie sono diventate le scene di un’opera lirica per ragazzi dal titolo “Il figlio cambiato”, presentata al Teatro Verdi di Pisa. Ha lavorato come fotografa di scena presso Festival Teatro Romano di Volterra.
Dal 2008 al 2010 ha tenuto corsi di fotografia presso varie associazioni sul territorio della Valdera. Con Matithyàh ha pubblicato: “Grazie di cuore” e “Ad occhi aperti nei secoli dei secoli” che hanno accompagnato gli omonimi eventi espositivi e culturali, e la prima raccolta di pensieri e fotografie intitolata “Il re senza corazza”, e “La protagonista è assente”.