Una necessità di trasformazione e l’auspicio di andare avanti sotto una buona stella (seppure una “blackstar“!) sono l’occasione che ha fornito lo spunto all’opera di Pierluigi Vecchi, che qui viene presentata. Trasformare la transitoria, anche se imponente e sentita, manifestazione emotiva scaturita dall’inattesa notizia della scomparsa di David Bowie in qualcosa di diverso che una cupa celebrazione. E farlo attraverso la fotografia.
L’11 gennaio è stato per me uno strano giorno, che ho vissuto in un’atmosfera di sospensione fra l’incredulità e un incombente dolore.
A molti di voi, come a me, sarà capitato quel giorno di scorrere la homepage di Facebook e di vedere un’interminabile sequela di post in memoriam, omaggi di ogni genere e da parte delle persone più inattese. Il mood che, per lo più, si respirava era da “fine di un sogno” e brusco risveglio a una realtà più grigia. Quasi che la scomparsa di Bowie ci orbasse definitivamente di una guida capace di immaginare per noi mondi nei quali ci si potesse muovere in sicurezza; come se ci privasse, senza speranza, di un prezioso ispiratore e d’un esempio, capace com’era di riformulare continuamente la propria ricerca estetica, ricordandoci che tutto scorre incessantemente e cambia, che così dovrebbe sempre essere in una ricerca artistica (in barba alle esigenze dei mercanti d’arte!).
In effetti non so dire con certezza se ciò che riferisco fosse realmente sotteso ai tanti messaggi di cordoglio dei miei amici o se si trattasse piuttosto di una proiezione delle mie personali emozioni; ciò che invece è certo è che quella mattina ho desiderato di poter fare qualcosa che ci scuotesse da tanta cupezza, spostando il focus della nostra attenzione da una disperato senso di mancanza a una speranzosa “capitalizzazione” del legato artistico di Bowie. Da orfani, quali ci siamo sentiti – mi son detta – ognuno di noi potrebbe forse prendere consapevole possesso di quell’eredità in forma d’ispirazione, che già da tempo ha avuto a disposizione senza accorgersene.
Da qui l’idea, forse un po’ ingenua, di improvvisare una call su Facebook fra i tanti miei amici reali e “social”, che si esprimono attraverso la fotografia, per rendere omaggio all’artista scomparso in un “Bowie Photographic Tribute“. Mi è parso un buon modo per continuare a ricevere ispirazione ed energie positive da qualcuno che ha significato tanto per noi.
Come spunto su cui lavorare ho proposto il tema, appunto, della trasformazione, sia perché David Bowie ai miei occhi ha sempre fatto suo e quasi incarnato questo concetto, sia perché il tributo stesso è nato – come già detto – dal desiderio di trasformare emozioni dolorose e di disagio in un qualcosa di positivo, di trasformare letteralmente la cupezza in luce, grazie alla fotografia. Infine perché l’evento stesso della morte possiamo interpretarlo come una trasformazione.
Alla mia call ha così risposto Pierluigi Vecchi.

E con queste parole ha presentato il suo dittico: “Per me la trasformazione comincia da se stessi: trasformare vuol dire guardare il mondo con occhi nuovi, vedere le cose in modo diverso. Quando vediamo le situazioni da un’altro punto di vista cambiamo le nostre percezioni e cambiamo anche il mondo che ci circonda. Per me “trasformazione” significa anche non perdersi mai d’animo e guardare sempre avanti; a volte, camminando anche sulla stressa strada che ho già fatto mille volte, posso continuare a scoprire cose nuove, magari semplicemente guardandole da una nuova prospettiva: una luce, per esempio; è un po’ come un lampo di luce sul pavimento in una giornata grigia e piovosa…”
Pierluigi Vecchi è un artista multi disciplinare che da anni lavora nell’ambito dei video, della fotografia e delle installazioni d’arte. I suoi video sono stati mostrati in diversi festival internazionali di cortometraggi. Nato inizialmente come pittore si è successivamente concentrato sulla fotografia e sulle opere video anche attraverso esperienze come VJ presso la SAT di Montreal (Society of Technological Arts) e in alcune discoteche. Laureato in belle arti all’Università Concordia di Montreal, in Canada, vive adesso a Londra e lavora nel mondo dei media. La luce l’acqua e i colori sono elementi ricorrenti nel suo linguaggio visivo.
Gli ho chiesto cosa abbia significato/significhi Bowie per lui o per la sua arte, cosa lo abbia spinto ad aderire a quest’idea di un tributo fotografico.
Pierluigi mi ha risposto richiamando alla mente alcuni ricordi: “Il mio primo concerto vero, l’ho visto a 17 anni quando sono andato, da Genova, allo stadio Comunale di Firenze a vedere Bowie in una tappa di un suo tour internazionale, il suo Glass Spider Tour dell’ 87.
Quindi Bowie fa parte della mia adolescenza. Un’altra ragione è che il mio film preferito in assoluto, quello che mi ha spinto a diventare videografo, è stato un film degli anni 80 che è quasi un video e aveva come protagonisti Catherine Deneuve, David Bowie e Susan Sarandon: The Hunger [uscito in Italia col titolo “Miriam si sveglia a mezzanotte”].
Allora ero rimasto impressionato dal suo multiforme talento, come attore, musicista, eccetera…”
Ringrazio Pierluigi per aver aderito mostrandoci questa sua visione, doppiamente legata a Bowie: in quanto espressione della sua personale eredità bowiana e in quanto inconscio rimando a quello che Pierluigi stesso definisce “l’imprinting del lampo di Ziggy Stardust”
Il sito/blog di Pierluigi Vecchi è all’indirizzo www.pierluigivecchi.com