
Curata da Marco Pierini e Isabel Tejeda – realizzata dal Comune di Milano e da Civita, in collaborazione con SMS Contemporanea di Siena, l’Espacio AV di Murcia (Spagna) e il Francesca Woodman Estate di New York – la retrospettiva “Francesca Woodman”, già presentata in Spagna e a Siena, è ora visitabile presso il milanese “Palazzo della Ragione” dove rimarrà fino al 24 ottobre.
Sono esposte 116 immagini; a tale vasta selezione appartengono pure 15 fotografie concesse in esclusiva per questo allestimento, fra le quali – per la prima volta in Italia – quelle che costituiscono l’installazione Swan Song (La canzone del cigno), serie del 1978 costituita da cinque immagini di grande formato pensate per esser collocate ognuna ad altezza differente, in modo da contraddire la comune logica espositiva e allo scopo di rispondere alle esigenze del ritmo narrativo imposto dall’artista. Sul suo lavoro fanno pure luce 5 frammenti video recentemente restaurati.
La mostra tenta di ripercorrere così la breve ma intensa carriera della fotografa di Denver: durata in tutto 9 anni, dai primi scatti con una macchina fotografica ricevuta in dono a tredici anni, fino agli ultimi progetti prima del suo “abbandono volontario” della vita. Ed è un ripercorrere la sua stessa esistenza, dacché l’intera opera è imperniata sull’autorappresentazione e sulla soggettività ancor più che – come nota Rosalind Krauss – su una sorta di consapevole riflessione riguardo il mezzo fotografico e il suo linguaggio da parte di una studentessa d’arte (almeno fino alle opere del periodo in cui frequenta il RISD di Providence e prima del suo soggiorno a Roma).

Sono immagini forti e intense, quelle di Woodman. Frequentissimi, gli autoscatti si mescolano ai ritratti spersonalizzati di altre modelle (in particolare l’amica Sloan Rankin), il cui corpo pare preso in prestito per impersonare suoi alter ego. Il bianco e nero, proposto in una forma dall’apparenza al tempo stesso materica ed evanescente, sottolinea un’atmosfera di misteriosa introspezione, dove la figura umana è ridotta ad una bidimensionalità palesemente senza peso, e aspira a confondersi con l’ambiente spesso squallido e fatiscente.
Queste messe in scena – così accuratamente pensate, e predisposte in ogni dettaglio – dove è fortissima la componente performativa, portano tutta l’evidenza di una profonda cultura artistica, attraverso le suggestioni di varie correnti del passato, dal Simbolismo al Surrealismo, e richiamano inevitabilmente alla mente altri autori, quali Claude Cahun, lasciando tuttavia intatta l’assoluta originalità di quest’opera. Un’opera d’altronde estremamente contemporanea nel suo minimalismo e nel suo raccontarsi attraverso serie di immagini, che ha poi incontrato l’ammirazione di molti altri artisti.
Ponendo l’accento ora sulla sua indagine della propria corporeità – ridotta attraverso la fotografia a “oggetto” indistinguibile dall’ambiente -, ora su un’analisi di tipo psicoanalitico alla quale troppo spesso la sua tragica morte è servita da retrospettiva chiave di lettura; nel lavoro di Francesca Woodman, da un lato si è voluto vedere – in una prospettiva di genere – un’incalzante critica (o magari persino un’acquiescenza) nei confronti dello “sguardo maschile” imperante nella società, dall’altro si è tentato addirittura di ridurlo alla manifestazione di un patologico narcisismo i cui esiti avrebbero portato la giovane a sprofondare in una depressione letale.
Fra gli estremi di tali letture critiche, che fanno di Woodman poco credibilmente una consapevole precorritrice del postmodernismo femminista, o piuttosto meramente una povera adolescente in crisi, come dato certo abbiamo solo la realtà della potenza espressiva delle immagini che ci ha lasciato, sorta di ritratti interiori nei quali nasconde, per rivelare solo ad occhi più attenti e scevri di pregiudizio, il racconto della sua vita e del suo modo di sentire l’arte.
Per ascoltare un’interessante intervista rilasciata da Betty e George Woodman (genitori di Francesca), cliccate qui.

grazie Rosa Maria, questa non voglio proprio perdermela… 🙂
"Mi piace""Mi piace"