In un recente post dal titolo “un illustre sconosciuto“, avevo avuto occasione di parlare dell’incredibilmente dimenticato fotografo di guerra italiano Ennio Iacobucci, per via di una mostra in corso a Roma, dove il suo lungo lavoro di testimonianza durante la Guerra del Vietnam viene infine riportato all’attenzione del pubblico. Della mostra, ma soprattutto del fotografo, ho poi parlato più diffusamente in una recensione apparsa su Cultframe.

Me lo richiama oggi alla mente, per confronto, un articolo (“Disembedded: Marines Send a War Photographer Packing“) apparso non molto tempo addietro su pdnonline e che solo oggi ho letto quasi per caso.

Tratta del caso di un reporter, Zoriah Miller (più comunemente conosciuto semplicemente come Zoriah), il quale sarebbe stato destituito dal suo ruolo di reporter aggregato alle truppe americane in Iraq per aver pubblicato sul suo blog alcune immagini di marines morti durante un attacco suicida. Ufficialmente perché era venuto meno alla regola sottoscritta nel suo contratto con l’esercito, per la quale non si possono pubblicare immagini di soldati morti, la cui morte non siano stata ancora notificata alle famiglie (accusa subito opportunamente ricusata), ma anche per aver fornito al nemico informazioni sugli effetti causati dal suo attacco. Di fatto perché sono sgradite immagini di questa “turbolenta” pace diverse da quelle che ritraggono i militari mentre “regalano lecca-lecca ai bambini o quando prestano soccorso”, come afferma Zoriah.

Il fatto che per l’establishment americano “fotografare la guerra in corso è inaccettabile” è lapalissiano, quanto il fatto che le immagini pubblicate di questa guerra in cui appaiano i loro militari caduti siano davvero rare.

Si è già parlato, del resto, di come nell’era dei media e del “tutto visibile”, nonché della presunta libertà di diffusione delle informazioni, abbiamo in realtà una vera e propria cortina impenetrabile intorno alle reali vicende in Iraq, e le immagini che filtrano sono scelte per raccontarci esattamente quello che “dobbiamo” sapere, più che quello che accade.

Niente di nuovo, quindi, ma magari non fa male ricordarlo, citando questo nuovo caso che ha avuto un qualche risalto, mentre di altri analoghi probabilmente non sappiamo nulla.

Tornando a Iacobucci, ricordiamo che anche lui a suo tempo aveva dovuto subire le “pressioni” dell’esercito americano, e che in un caso erano addirittura arrivate al punto da farlo avventurosamente scappare su di una moto attraverso la foresta inseguito minacciosamente per aver rivelato (quella volta davvero!) notizie di prima mano e non ancora trapelate alla stampa: la sconfitta americana di Quang Tri nel marzo 1972.

A quel tempo si può dire che pressioni da parte dello US Army, da un canto, dall’altro intraprendenza giornalistica, fossero l’ordine del giorno. Come si può evincere anche leggendo le vivide testimonianze di un Tiziano Terzani, per esempio.

Al giorno d’oggi, quello che forse dovrebbe un po’ dar da pensare non sono solo (o non sono tanto) i tentativi di censura – in genere oltretutto perfettamente riusciti se non ne arriva neanche la notizia -, ma piuttosto potrebbe magari stupirci di più il fatto che la copertura di una guerra sembra ormai scontato che venga affidata a gente che, come Zoriah, è “fotografo ufficiale” aggregato all’esercito.

Mi chiedo se esista o meno la possibilità di fare ancora davvero il freelance come Iacobucci. Se, per caso, non esistano alternative e all’ “arruolamento” fra le truppe americane e alla consuetudine odierna da parte di giornalisti e fotoreporter di muoversi in comitiva come in gita organizzata per scattare da lontano con potenti obiettivi, registrando immagini più o meno artistiche di questa strana pace, attenendosi sempre scrupolosamente allo stereotipo o alla notizia ortodossa.

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Per i più curiosi:

Le immagini che in questo post non ho potuto inserire, e molte altre ancora (non necessariamente truculente!), potrete trovarle sull’account che Zoriah ha in Flickr, immagino per puri motivi di marketing considerati i suoi oltre 7.500 contatti. Non parlo di statistiche delle visite, ma come ben sanno gli utenti di Flickr, di persone che da lui (o chi per lui) sono state inserite fra i suoi “contatti”, per attirare l’attenzione sul suo avatar sul quale appare in bella vista una schiera di teschi allineati, prima ancora che sulla sua produzione fotografica!