Roma, a Palazzo Fontana di Trevi, è attualmente in corso un’ampia antologica del celebrato fotografo giapponese Nobuyoshi Araki.
La sua produzione quanto mai controversa, ma non per questo meno apprezzata, può lasciare perplessi qualora non si pensi alle radici culturali di questo artista, che ha saputo esprimere con concretismo e al tempo stesso con visionarietà un suo mondo, dove la fotografia è al centro di ogni attimo vissuto e riproposto in immagine con curiosità ossessiva o con poesia, a seconda dei casi.
La mostra è visitabile gratuitamente.
Ecco la recensione che ho scritto per Cultframe:
Organizzata dall’Istituto Nazionale per la Grafica, nell’ambito del ciclo di mostre “Vetrine alla Calcografia”, quella che si svolge nella prestigiosa sede di Palazzo Fontana di Trevi con il patrocinio dell’Istituto di Cultura Giapponese, è la prima mostra romana per Nobuyoshi Araki. S’intitola “Araki Gold” e presenta un cospicuo numero d’immagini, che coprono circa quarant‘anni di attività, fornendo un panorama quanto mai vasto della poliedrica produzione dell’artista.
Sono in mostra migliaia di foto: dalla serie “Ginza”, finora inedita – che propone scatti in bianco e nero di pura street photography in uno stile che richiama quello di Winogrand, e riporta alla Tokyo del boom economico dei primi anni Sessanta – alla sua coloratissima serie di nature morte floreali, “Flowers” appunto; dalla serie intitolata “Love Stories”, con le sue immagini delicatamente sensuali, alla più curiosa e discussa “Bondages”; e ancora dalla celeberrima “Tokyo Diary”, dove l’intreccio fra la vita del fotografo e la sua amata città appare inestricabile, alle infinite “Polaroid”, passando per gruppi più esigui d’immagini, come quelli di “Families” e degli astratti, calligrafici, “Color Rays”.
Non manca la proiezione di un video in cui si può vedere Araki intento nel suo lavoro, a spasso per una Tokyo meno consueta e stranamente silenziosa; colonna sonora il ritmico, incessante scatto della Pentax dell’artista, intervallato da poche indicazioni date al servizievole assistente di turno.Molto giapponese, e al tempo stesso molto poco, Araki rappresenta un suo mondo concreto in maniera spesso visionaria. L’aspetto dei singoli scatti oscilla fra la cura estrema e la studiata trascuratezza. Un bulimico dell’immagine, così è stato definito.
Ciò che più spicca nell’opera di Araki, ben rappresentata in questa mostra, è – infatti – la proposta di vere e proprie fantasmagorie, quali sono le serie d’immagini dal formato più grande, presentate a riempire pareti, ma molto più i suoi interminabili mosaici di polaroid.
Ci riempie di sconcerto per la sua prolificità, quanto per l’oscillazione del suo gusto.
Le immagini pulite, ma complesse, iperrealiste e super-colorate dei “Bondages“, possono sembrare equivoche perfino per quel tanto d’ironia che sbuca qua e là insieme ai pupazzetti di serpenti, rettili e dinosauri assortiti. Inducono a riflettere sul ruolo assegnato in esse alle donne appese come burattini o trasformate in protagoniste di qualcosa che somiglia alla scena di un delitto. Tutto alla fine pare, tuttavia, essere un gioco, lieve in realtà nel suo erotismo.Ossessionanti, invece, le “Polaroids” insistono su immagini quotidiane, amici, gatto, e donne a profusione, in atteggiamenti che ricalcano stilemi artistici che vanno da quelli delle tradizionali Shunga (le stampe erotiche giapponesi) a quelli di certa arte erotica occidentale del XIX Secolo (da Courbet a Schiele), non meno che stereotipi da rivista pornosoft. Fra tanti scatti, insistente la presenza di cibi tipici allusivi alla corporeità e all‘eros, che creano una forte scansione ritmica all‘interno di questi complicatissimi puzzle.
“Pornografia filosofico-esistenziale” è stata ben definita la sua schiettezza, aliena da moralismi religiosi, ma anche sociali, che si riaggancia ad una mentalità tradizionale profondamente giapponese, oltrepassando i limiti apparentemente imposti dalle leggi nipponiche sulla censura delle parti intime dei corpi.Al di là del tour de force che viene imposto per seguire questo esuberante fotografo nel suo mondo attraverso vari generi – tutti magistralmente padroneggiati – al visitatore è data un’occasione preziosa per conoscere in maniera esaustiva l’opera del controverso, ma celebratissimo maestro, e di farsene un‘opinione personale.
La mostra si sposterà da Roma a Torino all’Archivio di Stato nel mese di aprile 2008.