André Kertész, Distorsione n. 6Arroccato com’è sui Nebrodi nell’entroterra di fronte al Tirreno e alle Eolie, che gli fanno da magnifico sfondo, Montalbano Elicona merita sicuramente la sua appartenenza al club dei “Borghi più belli d’Italia”; e grazie all’entrata insieme ai vicini Castroreale e Tripi nel progetto per il distretto culturale “Terre federiciane. Un viaggio tra preistoria e contemporaneità”, finanziato dalla Fondazione Cariplo, la sua Amministrazione Comunale può attuare la giusta scelta di valorizzare al livello turistico il paese attraverso valide iniziative culturali.

Fra queste abbiamo il piacere di segnalarvi la vasta mostra antologica di André Kertész, ospitata nei locali del locale castello svevo-aragonese, recentemente riaperto dopo un intervento di restauro e al suo esordio come spazio espositivo.

Organizzata con la collaborazione del Ministero della Cultura francese, che ha fornito le ben 180 fotografie, provenienti dal fondo Kertész del Museo Jeu de Paume di Parigi, l’esposizione fornisce ai visitatori una visione piuttosto completa dell’opera dell’artista ungherese, in quanto copre gran parte dei suoi lunghi anni d’attività: dai primi scatti nella natia Ungheria, a quelli parigini e infine a quelli newyorkesi.

Kertész lascia la Patria nel 1925 per trasferisrsi in una Parigi, in pieno fervore artistico, dove immortala i volti degli intellettuali, ma soprattutto la città stessa, della quale ama “annotare” con la sua fotocamera i “piccoli avvenimenti”, quasi come in un diario del suo continuo stupito vagabondare da flaneur. E’ il periodo parigino, di fatto, quello in cui egli si esprime con maggior libertà e vivacità creativa.

La sua produzione spazia, quanto a soggetti, nell’ambito della varietà offertagli dalla quotidianità: è questa la sua maggiore fonte d’ispirazione. Nei piccoli istanti, in quelle che lui chiama “piccole cose da nulla” cattura significati profondi, evoca un incanto – tutto giocato sulle forme e sulle luci – naturale, semplice e al tempo stesso ricco di stimoli immaginifici.

Coniuga un’impostazione formale costruttivista, fatta di punti di vista particolari e rigore compositivo, con una libertà poetica che nasce da uno sguardo spontaneo e sempre curioso, da fotografo umanista.

Henri Cartier-Bresson che, come Brassaï, si è riconosciuto a lui debitore, scrive: “Nello scatto della macchina fotografica di Kertész sento il suo cuore battere”.

Libero da artifici “accademici”, il fotografo magiaro è aperto anche alla ricerca e persino al divertissement, come vediamo nelle Distorsioni, la celebre serie di 200 immagini di nudo – delle quali sono in mostra ben 60 – scattate tutte nell’arco di un mese nel 1933. In esse i corpi di due modelle russe sono ripresi da varie angolazioni su di uno specchio concavo/convesso noleggiato presso un Luna Park, con effetti deformanti che – come è stato scritto – percorrono “tutta la gamma di possibilità, dal grottesco al contemplativo, dall’estetismo più puro alla stranezza più provocante”.

Nel 1936 si trasferisce a New York, dove sente sprecato il suo talento, ma continua nonostante tutto a fotografare la città, con grande lirismo, cogliendone linee e punti di vista inconsueti dalla sua finestra sopra Washington Square, o documentandone la vita di strada.

Questa mostra rappresenta un avvenimento da non perdere, perché porta per la prima volta nel Sud Italia l’opera di quello che è riconosciuto come uno dei più grandi maestri della fotografia e come un autentico testimone del XX secolo.

L’evento espositivo è inoltre accompagnato da un volume monografico, “André Kertész”, edito da Federico Motta, con una selezione di 355 opere, 81 delle quali inedite, con un’introduzione del curatore del volume Pierre Borhan , e testi di diversi studiosi di fotografia.

André Kertész, Distorsione n. 40