Oggi vorrei caldeggiare una mostra d’arte che ho trovato davvero entusiasmante, si tratta di “Dürer e l’Italia”.
Se vi stupisce che ne parli e avete bisogno di qualche scusa di carattere fotografico, posso argomentare che il maestro tedesco in questione (che dall’arte rinascimentale tanto ha assorbito e agli artisti italiani tanto ha trasmesso) è stato innanzitutto un incisore, e all’incisione l’invenzione della fotografia è sicuramente debitrice.
Prima di tutto in quanto alla sua concezione: di immagine facilmente riproducibile in serie, veicolo d’idee e d’informazioni così disponibili su vasta scala. E riguardo al procedimento tecnico; per il quale nell’Ottocento si ha l’intuizione che la “luce” possa sostituirsi all’opera manuale del bulino e delle punte dell’incisore nel creare dei cliché di stampa. Per la verità, si può anche aggiungere che i dagherrotipi, nel loro essere positivi su metallo, ricordano in tutto e per tutto le lastre dell’incisore.
Lorenzo Scaramella, del quale ci siamo occupati a proposito della sua bella mostra alla British School at Rome, ha molto acutamente scritto: “La luce è necessaria perché senza di essa non ci sarebbe immagine, la chimica lo è perché, senza, non la si potrebbe fermare. Nella prima fase, quella progettuale dell’idea grafica, c’è la ripresa cui segue lo sviluppo in cui la pellicola annerisce: le luci diventano nere, il soggetto viene invertito. E’ la fase della “luce nera” raffigurata nella melancolia di Dürer. Questa fase può essere assimilata alla alchemica “nigredo”.
Nella fase di stampa il lavoro dell’Uomo porta all’inversione del negativo e ciò che era tenebra diventa luce: è la fase dell’”albedo”; e tanto più una zona era scura tanto più diventa luminosa nella stampa, quasi a significare che nelle parti più oscure spesso si celano quelle più chiare e splendenti“.
Oltre all’affascinante simbologia alchemica di Melancolia I, potremmo far notare anche il fatto che da quegli ambienti artistici rinascimentali ai quali tanto era caro “l’equilibrio tra arte e verosimiglianza” discende tutto un pensare artistico che fino all’invenzione della fotografia, non s’è mai stancato di riprodurre la realtà con sempre maggiori dettagli,e anche avvalendosi di mezzi di sostegno “tecnologici”, quali il telaio d’inquadratura che Dürer rappresenta nella xilografia dell’Uomo che disegna un nudo femminile (conservato agli Uffizi ), la “camera obscura” e poi la “camera lucida”, o “chiara”, alla quale fa omaggio il titolo della celebre opera barthesiana sulla fotografia. La fotografia non è che la naturale epigona di questo pensiero.
Al di là di ogni considerazione o riflessione fotografica, la mostra merita.